di Gianluca Albanese
LOCRI – Il prossimo 29 gennaio la requisitoria del Pubblico Ministero della Dda di Reggio Calabria Antonio De Bernardo; il 20 e 27 febbraio le arringhe degli avvocati difensori. Sono i prossimi appuntamenti in agenda del processo “Falsa Politica” a carico di sette imputati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e altri reati, fissati dal collegio presieduto dal giudice Alfredo Sicuro (a latere Gerace e Cosenza).
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La breve udienza celebrata questa mattina, infatti, ha posto fine all’istruttoria dibattimentale, iniziata con l’escussione dei testi ex articolo 507.
Per la verità, era presente in aula solo la signora Marilena Gravina, moglie di Mino Muià, boss condannato in Appello a 8 anni di reclusione per 416bis nel quadro del processo “Crimine”, la cui escussione era stata chiesta, nel corso dell’ultima udienza che risale allo scorso 23 dicembre, dai difensori dell’imputato Cosimo Cherubino Francesco Albanese e Sergio Laganà.
La teste ha risposto sulle circostanze di un incontro che risale all’aprile del 2010 tra lei, il marito e Cherubino in una stazione di servizio di Marina di Gioiosa Ionica.
Nel rispondere all’avvocato Laganà, la teste ha detto di conoscere l’imputato sin dai tempi della scuola «Anche se – ha specificato – dopo il periodo scolastico ci siamo persi di vista» e ha confermato che l’incontro dell’aprile del 2010 era motivato dalla richiesta di lumi su una pratica dell’impresa di commercio di carni e altri prodotti alimentari affidata all’associazione di categoria ConfAgricoltura, della quale l’ex consigliere regionale aveva aperto una sede a Siderno.
«Quando c’incontrammo – ha riferito in aula Marilena Gravina – parlammo insieme una decina di minuti, dopo aver concordato telefonicamente di vederci alla stazione di servizio visto che stavamo percorrendo lo stesso tragitto in auto».
A domanda del presidente Sicuro, su cosa riguardasse la pratica, la teste ha risposto che «Non ricordo quale fosse l’oggetto specifico della pratica, anche se mi posso comunque documentare, ma sicuramente riguardava l’azienda di mio marito, nella quale lavoravo come dipendente».
Quindi, si è constatata l’assenza dei testi richiesti dal PM, che nella precedente udienza aveva chiesto l’escussione di alcuni dirigenti di Polizia e Carabinieri che furono gli estensori di una relazione di servizio relativa all’inchiesta denominata “Bluff” dalla quale emergono alcuni rapporti parentali tra Cosimo Cherubino e alcuni pregiudicati.
Assenti giustificati i testimoni Antonio Avena e Fabrizio Russo, i difensori di Cherubino e il PM hanno concordato l’acquisizione agli atti del processo, della relazione di servizio di cui sopra, col placet del presidente Sicuro che ha altresì revocato la citazione dei quattro testi.
Sempre su richiesta degli avvocati Laganà e Albanese, e dopo il placet del presidente, sono stati acquisiti altri documenti, tra cui l’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione “Primavera” e del dispositivo della sentenza del relativo processo, «Perché – ha spiegato l’avvocato Sergio Laganà – dai dialoghi intercettati emerge chiaramente, tra l’altro, che all’epoca dei fatti la famiglia Cordì di Locri sostenne alle elezioni un candidato di centrodestra e non Cherubino che allora apparteneva al centrosinistra, smentendo quanto dichiarato dal testimone di giustizia Domenico Oppedisano».
Proprio Oppedisano fece più volte riferimento ai rapporti di vicinanza tra l’ex consigliere regionale e Cosimo Cordì classe ’75 e Cesare Cordì classe ’78.
Tra dieci giorni, dunque, conosceremo le richieste del Pubblico Ministero De Bernardo.