di Gianluca Albanese
LOCRI – «Signor Novella, le rivolgo l’ultima domanda: lei ha sempre detto la verità nel processo Fortugno, o ha dimenticato qualcosa?»; «Avvocato, sono pienamente convinto delle cose che ho detto». Lasciamo ai lettori ogni interpretazione della risposta che il teste dell’accusa (e collaboratore di giustizia) Domenico Novella ha dato all’avvocato Pino Mammoliti, difensore di Maria Teresa Reale, nel processo a carico di nove imputati accusati di essere i falsi testimoni del processo agli autori dell’omicidio dell’allora vicepresidente del consiglio regionale Franco Fortugno.
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Davanti al collegio presieduto dal giudice Amelia Monteleone (a latere Grassani e Natale) il teste, collegato in videoconferenza da un sito riservato, è stato esaminato dal pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino, e controesaminato dagli avvocati Minniti, Filippone, Alati (sostituto processuale di Managò), Scarfò e, appunto, Mammoliti.
Tre ore di domande e risposte, nel corso delle quali il lavoro dei difensori è stato particolarmente difficile, visto che il confine tra le domande rivolte al teste strettamente connesse al tema processuale, e quelle che invece sono state giudicate non ricevibili, perché riferite al processo principale (quello agli autori dell’omicidio Fortugno, appunto, e che ha raggiunto i tre gradi di giudizio, con sentenza passata in giudicato) è molto labile, tanto che il pubblico ministero, durante il controesame, si è quasi sistematicamente opposto a ogni domanda, eccependo proprio la non pertinenza delle stesse al tema processuale.
L’ESAME
Nel rispondere alle domande del Pm, Novella, detenuto al 41bis prima della sua decisione di collaborare con la giustizia, per reati contestati, tra l’altro, nel corso dei procedimenti penali denominati “Lampo” e “Arcobaleno” si è qualificato come «Appartenente ai Cordì, in quanto nipote di Vincenzo Cordì» e, nel periodo precedente l’omicidio Fortugno, era uno degli assidui frequentatori del bar “Arcobaleno”, allora gestito da Bruno Piccolo (poi morto suicida) e parte di una gang composta «Dai miei cugini – ha detto Novella – Antonio Dessì e Carmelo Crisalli, da Alessio Scali e Salvatore Dessì, oltre che da Domenico Audino» che compiva atti delittuosi senza preoccuparsi di avere degli alibi precostituiti.
Dunque, un gruppetto satellite della consorteria criminale dei Cordì, che usava riunirsi, oltre che al bar di Piccolo, anche nel garage di Dessì e che aveva nella sua disponibilità anche armi, pronte a essere usate nel conflitto col clan rivale del Cataldo, commettendo reati e dispetti su commissione.
Novella ha aggiunto di conoscere il killer Salvatore Ritorto «Che in precedenza sparò sui piedi Giuseppe Lomonaco sotto la sua abitazione di via don Vittorio, dopo che questi gli aveva insidiato la fidanzata» «che – ha aggiunto Novella – non era ‘ndranghetista ma era in ottimi rapporti con Sandro Marcianò – ritenuto il mandante dell’omicidio Fortugno, secondo la sentenza passata in giudicato – il quale per lui era come un padre, e con Giuseppe Marcianò. Fu proprio Salvatore Ritorto – ha riferito Novella ai magistrati – a dirmi, nel settembre del 2005, che bisognava uccidere il dottore Fortugno, prima spiegandomi che le telecamere poste sotto la casa del politico originario di Brancaleone avevano ripreso un danneggiamento che il nostro gruppo aveva compiuto ai suoi danni, e poi, dopo che non mi vide particolarmente convinto di questo pretesto, mi aggiunse che “c’era dell’altro”».
Secondo quanto riferito da Novella, Giuseppe Marcianò e Salvatore Ritorto osservavano tutti i movimenti del medico politico e volevano ucciderlo, «Tanto che una volta – ha detto Novella – mi chiesero in prestito il motorino di Dessì, per ammazzare il politico che era in una sala da barba, ma io non glielo diedi. Marcianò sapeva pure che ero andato a rubare una macchina, precisamente una Uno bianca a tre porte, sul lungomare di Ardore, per essere usata nell’omicidio e il 16 ottobre mi disse chiaramente che in quel giorno avrebbero ammazzato Fortugno. Dopo l’omicidio Marcianò accompagnò Ritorto a casa e io lo vidi poco tempo dopo, appena uscito dalla doccia e fin da un mese prima del delitto si diceva che i Marcianò avessero un alibi per il delitto».
IL CONTROESAME
E’ iniziato con uno scontro tra il Pm Musolino e l’avvocato Eugenio Minniti, difensore di Domenico Audino, proprio sull’ammissibilità delle domande, col presidente che ha deciso volta per volta nel merito di ogni quesito.
Nel rispondere, Novella ha detto di non ricordare di aver comunicato al suo avvocato Luca Maio (e nemmeno ai suoi parenti) la decisione di collaborare con la giustizia, che Ritorto sapeva che avrebbero rubato la macchina usata nell’omicidio Fortugno e che non era a capo della gang del bar Arcobaleno «Ma uno dei tanti che facevano danneggiamenti, come accadde al mobilificio Alfarone di Locri».
Molte le contestazioni mosse dall’avvocato Alati (sostituto processuale della difesa di Maria Teresa Reale) che ha rilevato come alcune dichiarazioni rese nell’udienza odierna da Novella fossero differenti rispetto a quelle contenute nei verbali redatti in sede d’incidente probatorio.
Ancora più acceso lo scontro tra il Pubblico Ministero e l’avvocato Mammoliti (anch’egli difensore di Maria Teresa Reale), inframmezzato dalle battute ironiche del penalista locrese, che nel rivolgersi a Novella ha detto «So che lei è una persona sincera e spontanea», parlando delle sue dichiarazioni da collaboratore di giustizia le ha definite «Il bagaglio culturale fornito da Novella» e ha definito la gang del bar Arcobaleno prima «un microgruppo» e poi «il cerchio magico», arrivando perfino a dare indicazioni bibliografiche al collegio: «”Dalla parte sbagliata” di Di Gregorio e Lauricella, di Feltrinelli editore» per poi fare sbottare il Pm che a un certo punto si è alzato dicendogli «Ma chi sta difendendo? Marcianò o chi?» con l’avvocato che ha replicato che «Difendo anzitutto la mia dignità professionale».
Nel controesame condotto da Mammoliti, Novella ha detto, tra l’altro, che «Ritorto mi disse che avremmo dovuto uccidere Fortugno il 16 ottobre del 2005, ma non mi disse il luogo preciso del delitto». Tra le contestazioni rivolte da Mammoliti, l’asserita divergenza (tra dichiarazione odierna e i verbali stesi in fase di incidente probatorio) riguardante l’orario in cui Novella e i suoi correi tornarono da Ardore dopo il furto della Uno Bianca.
Novella ha aggiunto che «Non conoscevo Giuseppe Marcianò in maniera approfondita, so che vendeva tute, che abitava in via Napoli, ma non so di preciso dove e che aveva due bambine piccole a quei tempi. Poi, non ho mai conosciuto il politico Mimmo Crea, che Salvatore Ritorto mi disse di votare, e non ho mai partecipato a riunioni politiche di nessun gruppo partitico».
L’avvocato Filippone, poi, ha contestato il fatto che Piccolo avesse indicato Novella come un leader della gang, e a sua domanda, Novella ha risposto, tra l’altro, che insieme ad Antonio Dessì e suoi complici giunti da Reggio organizzarono una rapina all’ufficio postale di Donisi di Siderno, che però non andò a buon fine per l’asserita eccessiva presenza di posti di blocco nel giorno prestabilito, e che avrebbero dovuta compiere con un’auto rubata a un sacerdote di Soverato.
Su domanda dell’avvocato Scarfò, poi, Novella ha praticamente “scagionato” Pepè Ritorto definito da lui «una persona che conoscevo superficialmente ma che non era mai entrata in contesti delittuosi».
LE PROSSIME FASI DEL PROCESSO
Esaurita la serie di testimoni dell’accusa, il processo riprenderà il 19 dicembre alle 14.
Tra i testi di cui i difensori hanno chiesto l’escussione, ci sono Salvatore Ritorto, Giuseppe Lomonaco e Giuseppe Marcianò (richiesti da Alati); Domenico Audino (richiesto da Minniti); Maria Grazia Laganà e Giuseppe Cavaleri (richiesti da Mammoliti).