di Federica Roccisano*
In questi ultimi giorni le cronache locali ci hanno presentato la parte peggiore della Calabria: giovani che usano violenza contro un parroco, giovani armati che uccidono coetanei, adulti troppo “abituati” a rispettare, con tanto di bacia mano, gli uomini di ‘ndrangheta a dispetto dello Stato. È un quadro amaro, troppo amaro, che fa tremare le vene ai polsi e genera dubbi e interrogativi sul futuro della nostra Regione e sul capitale umano che stiamo contribuendo a costruire.
Ma poi basta osservare il lavoro magistrale che le scuole calabresi stanno facendo, in rete tra loro e in rete con organizzazioni del no profit e con enti e istituzioni illuminate, per ritrovare ossigeno e motivazione. Noi la chiamiamo “comunità educante” perché si fonda su una chiara condivisione sia di responsabilità educativa verso le giovani generazioni che soprattutto di valori, positivi, da insegnare e trasferire ai più giovani.
La Comunità Educante si pone l’obiettivo di diventare un luogo generativo di speranze e di futuro sano, dove agli esempi negativi di contesti sociali particolarmente disagiati e ad alta densità criminale, si sostituiscono esempi positivi fatti di cultura e conoscenza, ma anche di inclusione sociale, lotta alla Ndrangheta e partecipazione attiva. Tramite la diffusione di questo modello, intendiamo creare, infatti, gli anticorpi avverso la pericolosa esclusione sociale prima e un destino fatto di violenza e criminalità dopo.
In tal senso, affinché non rimanga una buona pratica isolata, è necessaria la costituzione di reti tali da moltiplicare gli effetti positivi della disseminazione e realizzate con il coinvolgimento anche delle parti istituzionali, ovvero le fondamenta delle comunità.
Diversamente, l’isolamento dei territori e l’assenza di riferimenti istituzionali sani continueranno a lasciare spazi aperti e feritoie nelle quali la criminalità, troppo facilmente, può accedere, contribuendo a far prevalere il male sul bene.
*: assessore al Lavoro della Regione Calabria