di Redazione
LOCRI – 100 anni e non sentirli. Un traguardo che ti fa ammirare sempre più la bellezza della vita e farti apprezzare ogni istante di essa. Un saluto, una passeggiata, una chiacchierata e un pranzo con nonno Ferdinando sono momenti unici, perché è uno di quegli uomini che ha umilmente e amorevolmente ammirato la vita, costruendo, mattone dopo mattone, la sua storia. La famiglia al primo posto e poi il lavoro. La sua bontà e disponibilità, nonché la sua forza d’animo e la simpatiasono doti conosciute da tutti. Oggi è una festa centenaria che coinvolge tutta la comunità del rione Sbarre dove dal 1946 è residente.A portare il saluto della Città e gli auguri il sindaco Giovanni Calabrese insieme al vicesindaco Raffaele Sainato, suo pronipote, la consigliera comunale Domenica Bumbaca, sua nipote, l’ assessore Anna Sofia e la consigliera Anna Maria Mollica.
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Racconta la sua storia, è orgoglioso quando parla del suo lavoro e con molta lucidità racconta quell’episodio in guerra che oggi gli permette di essere qui, quella scampata fucilazione dei partigiani che lo avevano catturato e la salvezza grazie ad un suo capo reparto.
“Credevo fosse un amico-ha detto-la vicenda che mi fece nascere due volte.La mia vita tra la guerra e il destino.I partigiani mi stavano fucilando ma fui salvato all’ultimo momento…Da lì inizia a vivere. Allo scoppio della 2° guerra mondiale, nel giugno del 1940, ero tornitore alla “Cogne” in Vall d’Aosta.L’anno successivo, per migliorare la mia posizione economica, passai nel reparto acciaieria: il salario, da Lire 12 giornaliere passò a Lire 15 circa.Nel 1943 decisi di arruolarmi volontario nella Milizia Ferroviaria e fui assunto in servizio nel nucleo di Polizia Ferroviaria d’Aosta.Nei prati, lungo la ferrovia, vi erano, spesso, mandrie di bovini al pascolo e, di tanto in tanto, succedeva che, brucando l’erba qua e là, finivano sui binari: i treni dovevano fermarsi e toccava a noi della Milizia scendere e allontanare le bestie.Il mio servizio nella Milizia Ferroviaria, sulla tratta Aosta – Torino, durò fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale e cioè fino al 25 aprile del 1945.
Il giorno precedente avevo avuto ordine dal mio Comandante di andare a Torino e prelevare gli stipendi dei commilitoni e dei ferrovieri del Compartimento di Aosta. Rientrai la sera dello stesso giorno con una borsa contenente una notevole somma di denaro, nella quale era compreso anche il mio stipendio, e la consegnai al segretario del compartimento delle ferrovie: come potevo immaginare, quella sera, che quello stipendio l’avrei ricevuto a casa un anno dopo?Compiuto il mio dovere, andai a dormire: ero molto stanco e presi sonno quasi subito.
All’una di notte, il dirigente unico mi svegliò di soprassalto e, ancora assonnato e stanco, appresi che la guerra era finita: non era certo una notizia da poco e pensai con gioia al mio rientro a casa.La sera del 26 aprile , alle ore 23 circa, venne a trovarmi una persona, che… CREDEVO FOSSE UN AMICO,e mi invitò a casa sua per festeggiare la conclusione della guerra.
Vi trovai tanta gente che non conoscevo, ma non ebbi difficoltà ad inserirmi e lasciarmi coinvolgere nell’allegria della festa; ma la sorpresa fu veramente amara: alle 3 del mattino, finita la festa, due persone, che poi si rivelarono essere partigiani, mi portarono nella caserma degli alpini, dove dovetti consegnare documenti personali, compresi portafoglio e orologio; quindi fui rinchiuso, assieme ad una decina di persone, in una stanza. Di punto in bianco mi trovai ad essere prigioniero, ma il peggio doveva ancora venire.
La sera del giorno 29, verso le ore 19, ci portarono in gruppi di dieci in cortile, dove ci ordinarono, in modo perentorio, di correre in circolo e di non voltarci indietro per nessuna ragione. Ognuno di noi, certamente, in cuor suo si chiedeva: -Cosa sta succedendo?- Lo sgomento fu tremendo quando sentimmo il crepitare della mitragliatrice, che, puntualmente, si faceva sentire durante l’unico giro che ci facevano compiere, per poi farci entrare in un’altra stanza atterriti di paura. Contro chi arrivavano quelle sventagliate? Per qualcuno di noi era l’ultima corsa della propria vita? Ciò non mi è stato mai dato di saperlo. Terminato quel tragico susseguirsi di giri, ci radunarono tutti in cortile e incominciarono a dividerci in piccoli gruppi.
Mentre stava avvenendo ciò, arrivò in cortile, il comandante del Comitato di Liberazione e per me si aprì un barlume di speranza perché tutto poteva andare a buon fine. Il Comandante aveva lavorato alla “Cogne” con la funzione di capo reparto. Passando tra i prigionieri mi riconobbe e diede ordine, dopo avermi chiesto come mai ero finito li, di trattarmi bene, aggiungendo: “Guai a voi se lo toccate!!!”Mi riportarono in una stanza e la sera stessa si sparse la notizia che le truppe alleate erano entrate ad Aosta. Gli alleati, impossessatesi della caserma, ci presero in consegna.Il 2 maggio ci portarono nel Castello del Duca d’Aosta e dopo una settimana ci trasferirono nel campo di concentramento di Piacenza, dove restammo fino a settembre; ancora un trasferimento nel campo di Laterina fino al 23 dicembre e, finalmente, fui lasciato libero”.