Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ampio spazio è dedicato ai divari territoriali e agli obiettivi per il Mezzogiorno. Pil, istruzione, infrastrutture, lavoro e sanità sono solo alcuni degli ambiti in cui le differenze tra Nord e Sud sono più evidenti: per questo motivo il 40% delle risorse disponibili per finanziare riforme e interventi è stato destinato al Meridione.
Flussi migratori, ecco i trend
Secondo il focus Istat “I divari territoriali nel PNRR: dieci obiettivi per il Mezzogiorno”, dall’Unità d’Italia le disparità tra Settentrione e Meridione hanno generato un esodo dal Sud Italia verso il Nord del Paese.
Un esodo che non accenna a fermarsi, come testimoniato anche dall’ultimo rapporto Istat “Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente”, e che coinvolge soprattutto studenti e laureati.
Se il livello di istruzione è basso e il tasso di occupazione giovanile lo è ancora di più, sempre più giovani decidono di lasciare la propria regione, con la speranza di trovare un lavoro ben retribuito e di fare carriera. Ma se prima erano in molti ad andare fuori dall’Italia, ora le emigrazioni sono diminuite del 21%, mentre i flussi migratori interni sono aumentati ulteriormente del 4%.
Le soluzioni per bloccare l’esodo al Nord
Per fermare questa situazione e aumentare le competenze della forza lavoro al Sud, il Mezzogiorno avrà però a disposizione molte risorse: tra il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i fondi strutturali 2021-2027, l’iniziativa REACT-EU, il Fondo di coesione e il Just Transition Fund, il Meridione potrà contare su circa 220 miliardi di euro da utilizzare nei prossimi sei anni.
Oltre a questo, sarà poi fondamentale agire direttamente sul fronte accademico, aumentando l’attrattività degli atenei, ingaggiando i giovani durante gli studi, incrementando l’importo e il numero di borse di studio e abbassando le tasse universitarie. Un’altra soluzione è incentivare l’università telematica, che permette di studiare da casa senza dover per forza emigrare al Nord o al Centro Italia, ed eliminando al contempo le spese per affitto e trasporti: i costi da sostenere se si frequenta un’università online, infatti, sono molto più bassi rispetto a quelli che si dovrebbero fronteggiare in un’università tradizionale, anche perché il materiale didattico è incluso nelle tasse.
Gli atenei telematici, inoltre, offrono a studenti e studentesse una grande flessibilità nell’organizzazione dello studio, essendo le lezioni sempre disponibili via web.
Sud Italia, università a rischio chiusura
Come se non bastasse, la fuga di cervelli verso Nord ha portato a un drastico calo delle iscrizioni presso gli atenei del Mezzogiorno, alcuni dei quali rischiano di chiudere entro il prossimo decennio.
Secondo la classifica stilata da Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, tra le università più a rischio ci sono tutti gli atenei pubblici della Calabria, ovvero la “Magna Graecia” di Catanzaro, la “Mediterranea” di Reggio Calabria e l’Università della Calabria.
Oltre a queste, anche altre realtà accademiche potrebbero non esistere più tra il 2031 e il 2041. Basti pensare all’Università degli studi del Sannio, all’Università “L’Orientale” e alla “Federico II” di Napoli, all’Università della Basilicata e al Politecnico di Bari.