di Gianluca Albanese (foto e video di Enzo Lacopo)
CAULONIA MARINA – «Il 41bis (ovvero il carcere duro per i mafiosi) è del tutto incostituzionale, così come la carcerazione preventiva»; «I legalitari hanno modificato il rapporto tra popolo e diritto»; «La Questione Meridionale non può prescindere dal conflitto contro il Nord»; «Il Pci e il Psi furono grandi partiti popolari, ma del Nord». La guerra di Piero Sansonetti, iniziata durante gli anni di direzione del quotidiano Calabria Ora, e proseguito dopo la fondazione de “Il Garantista”, ha vissuto un nuovo episodio ieri sera nella villa comunale di Caulonia Marina, nell’incontro sul tema “Istituzioni e società civile: fragili equilibri da consolidare», organizzato dall’osservatorio politico-culturale “Spazio Aperto“.
{loadposition articolointerno, rounded}
Davanti a una platea sufficientemente adorante, tipica dei casi in cui scende in provincia un personaggio televisivo reso famoso dal piccolo schermo, il giornalista romano ha riproposto i suoi grandi classici, non senza qualche sorpresa, visti i suoi trascorsi giovanili all’Unità.
Ha introdotto i lavori, con un intervento assai calmierato il presidente di Spazio Aperto Nicola Frammartino, che da un lato ha ricordato che «La ‘ndrangheta non va confusa col sentimento ribelle dei ceti popolari perché è solo una organizzazione criminale dedita all’arricchimento», ma ha altresì compiuto una seria autocritica della sinistra cauloniese «Noi – ha detto – non siamo mai stati garantisti. Anzi, abbiamo spesso massacrato i nostri avversari tacciandoli di essere fascisti e nemici del popolo e tutto questo si è ritorto contro di noi».
Molto articolata la relazione di Pino Mammoliti, che ha detto che «In una Calabria in cui ci sono 26.000 persone che utilizzano gli ammortizzatori sociali non può essere giudicata male la povera gente che cerca di eludere la vessazione fiscale» e, tra un elogio del riformismo di Berlinguer e Moro «un patrimonio – ha detto – sciupato nella stagione sessantottina del “sei” politico», ha stuzzicato Sansonetti sul tema del meridionalismo «Non c’è mai stata – ha detto l’avvocato di Locri – un’emigrazione al contrario: chi è venuto qui dal Nord lo ha fatto solo per speculare economicamente e non è più rinviabile la responsabilità politica su questi temi, visto che la Questione Meridionale non è mai stata rivisitata seriamente. Oggi – ha concluso – ci sono persone in doppiopetto nei posti di comando, altre con la tuta da operaio mentre molti indossano la livrea per mero bisogno, ecco perché occorre emanciparsi dalla schiavitù mentale e traghettare le giovani generazioni verso un futuro migliore».
Molti gli interventi del pubblico. L’avvocato Pietro Parrotta di Locri si è posto il problema del difficile avvicinamento dei giovani alla politica attiva, proponendo un nuovo umanesimo contro la deriva individualista e chiedendo soluzioni invece che il solito quaderno di doglianza sulle annose problematiche che da sempre attanagliano il Sud. Il renziano della primissima ora Bruno Grenci, tra una dotta citazione e l’altra ha chiesto come mai il Pd non si sia mai occupato del caso dell’inchino della processione di Oppido Mamertina davanti al boss Mazzagatti, domandando pure a Sansonetti come si sarebbe comportato dopo il “caso Regolo” e la conseguente chiusura del quotidiano Calabria Ora.
Attilio Tucci, l’unico a mostrare grande capacità di sintesi nel porgere la domanda, ha chiesto al direttore del Garantista il suo parere sulla nuova legge elettorale, mentre Domenico Gallo ha sottolineato l’esigenza di una vera e propria rivoluzione popolare «contro le istituzioni troppo spesso rappresentate da ebeti».
Maria Grazia Messineo, reduce dall’impegno profuso per riportare istituzioni democratiche a Platì, prima col Centro Studi Lazzati e poi col Pd, ha ricordato un episodio di qualche anno fa, quando Scopelliti, in un convegno organizzato da Calabria Ora, disse che lui a Platì non ci va per non essere nel mirino di chi, con un’intercettazione e una foto avrebbe potuto scambiarlo per un politico colluso con la ‘ndrangheta e, a proposito di garantismo, si è chiesta se non sia il caso che ci siano maggiori garanzie per la gente comune e minori per le classi dirigenti. Peppe Macrì di Ardore, dopo aver ringraziato Spazio Aperto per avergli fatto tornare la voglia di impegnarsi attivamente in politica, ha sottolineato l’esigenza di una nuova moralizzazione della politica.
E il Piero nazionale? Ha ascoltato le domande con l’aria di sempre, apparentemente distratta, sicuramente disincantata, alternando l’annotazione di qualche appunto a un frenetico scambio di sms dal suo smartphone,
Prima di rispondere a (quasi) tutte le domande, ha ribadito di essere ancora di sinistra «anche il garantismo lo è» ha anticipato l’apertura dell’edizione odierna del Garantista: «Apriamo – ha detto – con l’intervista al direttore generale di Caritas Italia che attacca il Governo che vuole sostituire l’operazione Mare Nostrum con Frontex Plus: è uno scandalo che “Mare Nostrum” venga difesa solo da un militare come l’ammiraglio Giorgi della Marina Militare». Quindi, nel rispondere alla Messineo, ha detto che «Il garantismo dev’essere per tutti, altrimenti va a finire che la sinistra è garantista solo nei confronti dei “No Tav” e la destra lo sia per i processi a carico di Berlusconi, che ha subito anche alcuni processi assai discutibili».
Quindi, ha offerto ai suoi fans il suo concetto di garantismo, inteso come «Lo stato dei diritti che sta sopra l’esigenza della sicurezza e che quindi non contempla situazioni di emergenzialità come quella che ha portato all’emanazione di leggi speciali contro il terrorismo prima e contro la mafia poi. Io – ha detto riprendendo una confessione dei trascorsi giovanili di Nicola Frammartino – farei ancora una manifestazione per chiedere di disarmare la Polizia e sono contro a quegli stessi forcaioli che quando era in vita linciarono moralmente un grande magistrato come Giovanni Falcone, contro il quale Santoro fece diverse trasmissioni televisive».
Sull’esigenza di una classe dirigente, emersa nella domanda di Parrotta e in altri interventi, Sansonetti è stato fin troppo disincantato. Quasi un iconoclasta quando ha detto che «Non sono proprio sicuro che la vecchia classe dirigente (compresa quella dei padri costituenti) fosse composta da figure sempre oneste ed esemplari. Lo stesso Togliatti fu un monumento del doppiogiochismo. Anzi – ha proseguito – le figure sempre celebrate dei politici calabresi come Mancini e Misasi furono, in realtà, subalterne agli interessi politici del Nord, all’interno dei quali seppero costruirsi solo la loro nicchia».
La sua visione politica improntata al meridionalismo estremo e conflittuale non risparmia nemmeno il mondo della cultura. «Giorni fa – ha detto – abbiamo pubblicato un bellissimo articolo di Mimmo Gangemi in cui dava spazio a un’interrogazione parlamentare del Movimento 5Stelle che stigmattizzava la scomparsa dai programmi scolastici di tutti gli autori meridionali, escluso il solo Pirandello».
E in tema di lotta alla mafia ha detto che «Non va combattuta solo sul piano giudiziario-militare ma anzitutto politico perché non si tratta di malavita comune ma consta di complicati intrecci di tanti interessi, tanto che la gente deve condurre una duplice battaglia: contro la mafia ma anche contro questo Stato opprimente».
Sul tema del rapporto tra politica e società civile, Sansonetti ha detto che la prima deve tornare ad essere all’interno della seconda e non percepita come un corpo estraneo «Ed è inutile fare la guerra a Marchionne quando al Sud il suo piano di ristrutturazione degli stabilimenti Fiat sembra addirittura un programma socialista se si tiene conto che in Calabria chi lavora nei call center prende la stessa paga da fame degli extracomunitari che raccolgono le arance a Rosarno o dei giornalisti nelle redazioni di periferia».
Nel condannare la marcia dei metalmeccanici del ’72 «Fu un errore – ha detto Sansonetti – perché tenne al Nord il baricentro della rivendicazioni della classe popolare, agevolata in questo da partiti a trazione nordista come il Pci e il Psi», il giornalista romano ha detto che il Pd «deve scegliere se vuole diventare un grande partito popolare meridionale o no».
Le ultime chicche hanno riguardato, nell’ordine, la legge elettorale («Sono – ha detto – per un presidenzialismo con elezione diretta e un potere esecutivo più forte e netta distinzione con quello legislativo. Perché è vero che in Italia c’è stato il fascismo -ha aggiunto – ma è pure passato quasi un secolo e io propendo per un sistema elettorale proporzionale puro»), Scopelliti («Pare che dietro il mio licenziamento da Calabria Ora ci sia la sua influenza ma devo comunque riconoscere che la sua condanna è in parte infondata ed eccessiva»), il caso Regolo – per la verità aveva provato ad eludere la domanda in un primo tempo – («Non potevo trovarmi al suo posto quando è scoppiato il bubbone perché ero stato licenziato qualche tempo prima perché mi opposi al licenziamento di quaranta giornalisti»), il commissariamento degli enti dopo lo scioglimento per mafia («Non si può combattere la mafia togliendo la democrazia»), la legge Severino («E’ stupida perché prevede una presunzione di colpevolezza del politico») e l’abolizione del Senato («Non mi scandalizza questo: quello che mi fa specie è che i fili della politica degli stati membri dell’Ue li tiri Mario Draghi, che così facendo commissaria, di fatto la Camera dei Deputati»).
Spazio Aperto chiude stasera alle 19,30 nella corte del palazzo municipale di Locri la sua tre giorni di incontri con un convegno sul tema: «Politica e povertà», al quale prenderanno parte il responsabile diocesano della Caritas don Alfredo Valenti e il segretario provinciale del Pd Seby Romeo.
{youtube}pkElIqeZXD4&feature|580|340{/youtube}