di Antonio Baldari
C’è un sottile intreccio che lega Luigi Pirandello e Primo Levi per questa “Giornata della Memoria”, una simbiosi stretta che, chiariamo subito, non vuole essere celebrativa di questa data posto che tale ricorrenza è diventata, nel corso del tempo, più una stucchevole passerella di lustrini e paillettes, rievocanti fatti e personaggi sempre più remoti ma che, allo stesso tempo, stanno tornando ad essere sempre più attuali. Pericolosamente attuali, parassiti e sanguinari con l’aggravante. E questo perché, come sosteneva Pirandello, particolarmente con il romanzo “Uno, nessuno, centomila” pubblicato nel 1925 dopo un lungo periodo di gestazione, “l’arte è l’unica dimensione veramente umana, nobile e degna, perché libera da interessi materiali e vincoli sociali di ogni sorta”, che è quanto di più vero, ahinoi, nella triste ed amara realtà quotidiana in cui viviamo oggi, dove l’arte è praticamente assente dall’azione politica, economica e finanche religiosa, viste ed acclarate le tante distruzioni, gli annientamenti, le cancellazioni, temporanee o per sempre, di secolari simboli quali chiese, simulacri, effigi appartenenti ai popoli.
Dal canto suo Levi asserisce, con quello che è un saldo punto di riferimento letterario della “Memoria”, ossia il romanzo “Se questo è un uomo” scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947, che questo suo scritto non vuole essere un voler puntare il dito contro i colpevoli del gravissimo genocidio commesso durante il Secondo conflitto mondiale, un “j’accuse” di zoliana memoria che avrebbe potuto pure essere più che legittimo ma che, in realtà, l’autore non ha inteso in tal senso bensì quale “testimonianza di un avvenimento storico e tragico, per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi”.
Detto questo, è purtroppo facile dedurre che la “testimonianza” di questo avvenimento storico e tragico o non è stata compresa o viene sistematicamente calpestata posto che anche il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi, non lo si vuole, non lo si accetta, volendo ed accettando prioritariamente ed in senso assoluto ciò che più di ogni altra cosa conta: la supremazia sul genere umano ad ogni costo, anche cancellando per sempre, ammazzandoli barbaramente, trentamila bambini nella Striscia di Gaza.
Che poi può essere l’Ucraina, lo Yemen, il Sudan, il Pakistan e qualsiasi altra Nazione al mondo sempre più in balìa di un pugno di “non uomini”, più o meno oscuri, che lo tengono strenuamente in scacco distruggendolo. Annientandolo. Cancellandolo, spargendo violentemente sangue, come allora fu Erode con la Strage degli Innocenti per la fottuta paura di perdere il regno con tutti i suoi averi, e come è oggi con i tanti dittatori, più o meno mascherati, assetati oltre ogni dire di tutto quello che può dare loro il potere, ed ogni giorno ancora di più.
La Giornata della Memoria non serve se non c’è arte che ti rende libero da interessi materiali e vincoli sociali, come sosteneva Pirandello; ed ancora non serve se non è testimonianza e bisogno di rendere partecipi gli altri se poi l’unica testimonianza e bisogno sono quelli di morte: del resto, perché la violenza, il sangue, la morte aumentano di anno in anno nonostante la Giornata della Memoria la più commovente, la più esauriente e la più sincera? Perché nulla cambia, di anno in anno se non soltanto per quel senso di lutto e morte che avvolge sempre di più il mondo intero, cancellando?