di Rosario Rocca*
A volte, la pezza è peggiore del buco. Capita, sono cose di questo mondo – direbbe un vecchio saggio. È successo ad Africo per mano dei commissari prefettizi che, come abbiamo visto, con un’operazione d’ingegneria amministrativa prima, e di un’acrobazia procedurale dopo, si sono conquistati, loro malgrado, la scena degli ultimi giorni. I fatti sono noti e preferisco non aggiungere altro. Solo una riflessione nel mezzo dell’ultimo (spero) pomeriggio piovoso della stagione appena inaugurata.
Primo quesito. Che cos’è la povertà? Anche alle scuole elementari, dei bambini potrebbero spiegarcelo. Certo, con le loro parole, i loro esempi, i loro disegni. I poveri non hanno niente da mangiare, non hanno vestiti nuovi e non possono comprare ai loro figli dei quaderni per la scuola. Con semplicità, formulerebbero frasi di questo tipo. E, magari, se imparassimo ad ascoltarli meglio, ci interrogheremmo un po’ di più sul concetto di dignità umana.
Quando, poco più che ragazzino, decisi di smettere di maltrattare i miei neuroni memorizzando frasi e concetti del Capitale, iniziai ad appassionarmi a letture profonde. E presi in mano, non ricordo bene in che occasione, Giustizia sociale e dignità umana di Martha Nussbaum, un libro edito da il Mulino che mi aprì uno scenario a me sconosciuto sulle libertà e sui diritti universali. Trovai notevole la prospettiva liberale e femminista riguardo a temi come i diritti delle persone disabili e le questioni di genere. Ma rimasi affascinato soprattutto dalle parole. Parole di libertà. Universali, come i diritti fondamentali. E irrinunciabili, come l’aspirazione ipotetica ad una società più equa e più giusta. Non serve, qui, alcun contributo di autorevoli costituzionalisti per convenire che anche la nostra Carta è fondata sui principi di uguaglianza, equità sociale e libertà e che le istituzioni della Repubblica sono tenute a concorrere alla realizzazione concreta di tali principi.
“Tutti i cittadini – abbiamo appreso – hanno pari dignità sociale”. A prescindere, si badi bene, dalle loro “condizioni personali”.
Il secondo quesito lo voglio porre a me stesso. Una misura di contrasto alla povertà non risponde anche al quel principio di dignità? E, soprattutto, ogni cittadino bisognoso di aiuti statali deve essere considerato in base alla condizione economica in cui versa in quel determinato momento della vita o al suo vissuto?
Di fronte alla povertà c’è il povero. La persona nuda, spogliata della sua storia e della sua dignità. C’è la persona. Che viene prima del maestro e dell’allievo, del saggio e dello sprovveduto, dell’incensurato e finanche del condannato. Prima di tutto, viene la persona. E questo fa la differenza tra la Repubblica e la giungla.
Noi siamo italiani, da Codogno ad Africo, e siamo fortunati perché da noi non è ammessa la pena di morte. E, men che meno, la pena di morte per fame.
Ci saremmo risparmiati, in tempi di pandemia, di sporcare il clima emozionale che attraversa il Paese con questa patetica dialettica tra giustizialisti e garantisti. Ma capita, quando la questione criminale diventa un’ossessione, di perdere lucidità di governo. E, soprattutto, sensibilità umana.
*: scrittore e maestro elementare