di Gianluca Albanese
ROCCELLA IONICA – Un “delitto di abbandono” «Perché Aldo Moro fu abbandonato da tutti: Governo, Parlamento, Forze dell’Ordine, Magistratura. E’ una verità sconvolgente, lo so. Ma è la verità». Così il vicepresidente del Gruppo Pd alla Camera dei Deputati Gero Grassi ha introdotto l’incontro che ha avuto luogo ieri sera a Largo Colonne a Roccella Ionica, organizzato dal circolo cittadino del Pd con a capo il segretario Mimmo Bova, 182^ tappa del tour in giro per l’Italia che il parlamentare pugliese conduce da un anno e mezzo, per esporre il lavoro della commissione bicamerale creata ad hoc e della magistratura, su un delitto in cui, evidentemente, le Brigate Rosse sono state solo l’ultimo anello di una catena che partiva da molto più in alto, coinvolgendo strutture paramilitari come la famigerata Gladio, massoneria e servizi segreti deviati, gruppi terroristici internazionali. Un intreccio perverso teso a punire il dialogo tra la Dc e il Pci, che non piaceva né a Mosca né a Washington, ma che in Italia avrebbe preso corpo trent’anni dopo con la costituzione del Pd.
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Proprio così. Davanti a un pubblico numerosissimo (anche più degli analoghi incontri tenuti lo scorso anno sia a Siderno che a Locri), dopo i saluti del segretario del circolo cittadino Bova e del dirigente Domenico Bruzzese, Grassi ha parlato a braccio per ore, snocciolando date, fatti e circostanze ormai impressi nella sua mente, e riassumendo in maniera efficace il contenuto di tre milioni di pagine scritte dalla commissione bicamerale e dalla magistratura sul “caso Moro”.
Partendo da dieci anni prima del rapimento di via Fani nella Capitale, ad opera di quella “colonna romana” delle Br che poi si scoprì fu quella che fece solo il “lavoro sporco”, dovendo tutelare ben altri loschi interessi, tra barbe finte e inquietanti presenze sia nella scena del rapimento, che durante la detenzione nel covo di via Gradoli.
«Già nel 1964 – ha esordito Grassi – il golpe, fortunatamente sventato, che aveva in mente il “piano Solo” concepito da settori deviati dei Carabinieri, prevedeva il rapimento e l’uccisione di Moro. Nel 1974, poi, l’allora segretario di stato americano Kissinger, ammonì Moro dicendogli di smetterla di dialogare coi comunisti, altrimenti l’avrebbe pagata cara. Nello stesso anno, Moro salì, e fu fatto scendere pochi minuti dopo, dal famigerato treno “Italicus”, quello che fu fatto saltare in aria con la stessa polvere delle stragi di quegli anni: piazza Fontana, stazione di Bologna, piazza della Loggia, ecc. Per non parlare – ha aggiunto Grassi – del giornalaccio “Op”, diretto dal piduista Mino Pecorelli, che già nel triennio 1975-1977 dedicò tre pagine a un allora ipotetico delitto Moro».
«Erano gli anni – ha detto il parlamentare pugliese – in cui la magistratura veniva messa al servizio del ministero dell’Interno, violando il principio della divisione dei poteri», e poi una delle ultime scoperte: «Il 2 marzo 1978, pochi giorni prima del rapimento di Moro, partì un telegramma del capo della X divisione di Gladio “a distruzione immediata” in cui era scritto “Contattare i terroristi mediorientali per la liberazione di Moro”, 14 prima del rapimento».
E poi lettere anonime, segnalazioni che rimandavano ai leader democristiani dell’epoca come Andreotti e Cossiga, secondo alcuni quelli che diedero l’OK all’uccisione di Moro, ad una seduta spiritica con otto professori universitari (tra cui Romano Prodi), dalla quale uscì il nome “Gradoli” che depistò gli investigatori, dopo che Cossiga riferì alla moglie di Moro che a Roma – cosa non vera – non esisteva alcuna via Gradoli, e carte misteriose sul delitto Moro che scottano.
«Ne venne in possesso anche il generale Dalla Chiesa, anch’egli iscritto alla P2 – ha riferito ieri sera Grassi – che non è stato ucciso dalla mafia, ma da chi sapeva che aveva in mano le carte del caso Moro» e Andreotti, in quel tempo, ebbe il potere di modificare l’appello alla liberazione di Moro letto dall’allora papa Paolo VI, aggiungendo l’espressione “senza condizioni”, dopo una telefonata al direttore del quotidiano “L’Osservatore Romano”.
Insomma, erano tempi difficili «In cui – ha detto l’onorevole Grassi – non ci si doveva e poteva fidare di nessuno e certamente non esagero se dico che fin quando non conosceremo tutta la verità sul caso Moro, non potremo considerarci davvero liberi».
Prima della conclusione, è intervenuto il vescovo di Locri-Gerace monsignor Francesco Oliva, che ha ricordato, tra l’altro «L’avvio del processo di canonizzazione di Aldo Moro, che fece della politica la più alta forma di carità».