di Bruno Grenci*
CAULONIA – La rinuncia è segno di forza e di potenza e non segno di debolezza. Maria Carmela Lanzetta ha saputo accettare le lusinghe quando Renzi l’ha chiamata a Roma a fare il ministro, avrebbe potuto proseguire nell’occupazione di una poltrona accettando l’assessorato regionale. Invece ha avuto la forza di rinunciare mettendosi indubbiamente in una posizione di trincea e di conflitto. Ma paradossalmente di forza e di potente legittimazione. Direi di ROTTAMATRICE. La novità e la discontinuità sta qui. Starà a lei ora saper cogliere tale opportunità che le si presenta. Avrebbe potuto accettare e starsene nel suo posticino di casta e di protezione. Il suo NO ad Oliverio è un atto rivoluzionario e controcorrente. L’ho detto in un altro documento e lo ripeto: il fatto di essere donna ha contato e non poco. Dicono che sia rimasta sola (il Quotidiano, sabato 21 febbraio); che l’ha fatto per non subire l’onta del declassamento da ministro ad assessore regionale. Queste sono congetture e dietrologie. Credo che avrebbe potuto fare benissimo l’assessore regionale dopo aver fatto il ministro. Quello che conta è che ha rifiutato di stare con l’establishment, con la nomenklatura, con la restaurazione.
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Ho parlato anch’io di restaurazione nel mio precedente su Lente Locale e mi piace leggerlo nel documento di qualche giorno fa della Lanzetta. Il titolo di Lente Locale parla di “amaro sfogo”, non credo sia “sfogo” e neppure amaro, mi sembra una razionale analisi politica, tagliente e forse a tratti passionale, ma questo è inevitabile, trattandosi della vicissitudine personale-istituzionale. La reazione stizzita e di basso livello dei segretari di federazione del PD, che rasenta la minaccia, maschilista e paramafiosa, della “misura colma”, ne è la conferma.
Maria Carmela Lanzetta avrebbe dovuto essere così dirompente e picconatrice da ministro. Se c’è una cosa che le rimprovererei è di non aver battuto, da quel pulpito e da quella posizione, sul tasto del cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno. Quando si dimise da sindaco le inviai la mia solidarietà e la invitai a non mollare. Conservo ancora la risposta in cui mi parlava della “impossibilità culturale a proseguire …(aggiungendo)Io sono una persona libera e indipendente e l’unica mia grande amarezza e’ quella di non riuscire a concretizzare in tempi brevi una rivoluzione di pensiero e di modo di operare …”.Lanzetta ha avuto l’opportunità di fare questa rivoluzione da ministro e non l’ha sfruttata. Probabilmente con la nomina a ministro si entra in un’altra dimensione e in altre dinamiche. Ma se avesse ripreso questo tema, credo non l’avrebbe mandata via più nessuno da lì.
Ricordo i salamelecchi e i baciamano, i fiori e le canzoncine, che offrivano ruffianamente i sindaci, i rappresentanti istituzionali e i vari operatori-faccendieri della Locride quando veniva da ministro. La logica era ed è sempre la stessa. Chiedere col cappello in mano opere edilizie e infrastrutture, strade, ponti, soldi e prebende. Lo denunciava venerdì 20 u.s. Massimo Veltri sul Quotidiano del Sud; sullo stesso giornale, il 19 ottobre scorso, lo descriveva molto bene l’eminenza dell’antropologia e dell’etnologia calabrese e meridionale che è Vito Teti, in occasione della nomina di Matera a capitale della cultura; inoltre ne va parlando in giro per l’Italia e in un suo libro Carlo Borgomeo: “L’equivoco del sud” (borgomeo) è di non capire e non sapere cosa sono i beni immateriali, la cultura, il sapere, il capitale sociale-umano. Fermo restando, naturalmente, che le opere edilizie sono necessarie.
Lanzetta invece lo aveva capito da Sindaco, ed è stato il punto di forza che le ha dato successo e clamore nazionale. Successo e clamore a tratti inaspettati e non cercati. Con lo stupore e l’invidia dei colleghi sindaci in perenne, spasmodica e patologica ricerca di riflettori. Lanzetta divenne una sorta di Mimmo Lucano in versione femminile. Non a caso ambedue isolati e bistrattati nell’agone dei sindaci locridei che invece sono fortemente “venali”, “materialisti” e “infrastrutturalisti”. Non a caso la risposta al vetriolo dei segretari di federazione del PD si va ad aggrappare al fatto che il comune di Monasterace con la Lanzetta abbia avuto il dissesto finanziario. Perché il metro di misura è quello: degli sghei, dell’argent , della cruda e nuda materialità.
Ora debbo dire che siamo abituati a stare nella politica, e forse in questo mondo, sposando in toto e per sempre le posizioni degli altri, o viceversa negandoli in toto e per sempre. Oggi Lanzetta ha assunto una posizione dirompente, che merita sostegno e divulgazione. Se domani non mi troverò con le sue posizioni lo dirò e ci sarà divergenza. La politica è la capacità anche di cambiare e adattare la posizione rispetto agli eventi e agli accadimenti; rispettando la coerenza e i principi.
E inaspettatamente, oggettivamente direi, oggi la posizione di Lanzetta combacia con la posizione irriverente e di rottura benefica che porta avanti con dignità e sapienza l’avvocato Pino Mammoliti, mio compagno di viaggio e leader legittimato sul campo. A cui, ove non fosse abbastanza chiaro rinnoviamo solidarietà e sostegno.
Ora sta ai dissidenti del centrosinistra, del partito democratico, della politica sana e pulita calabrese di sostenere la posizione di Lanzetta. A cominciare dall’osservatorio della Locride Spazio Aperto, a cui appartengo e a cui assieme a persone di spessore politico e culturale, a cominciare da Mammoliti, ho dato vita. So che aprirò un dibattito e un travaglio. Ne ho accennato nei nostri incontri. Non vedo nulla di male parlarne a carte scoperte.
Cari amici dissidenti, renziani e controcorrente, cita Brecht l’ex ministro, “i posti di là sono tutti occupati. Bisogna sedersi di qua, dalla parte del torto.” Accomodiamoci! (pardon) a-Scomodiamoci!
*: co-fondatore dell’osservatorio politico –culturale “Spazio Aperto”