di Patrizia Massara Di Nallo
“Il cacciatore di aquiloni”, opera prima di Khaled Hosseini, diventato a breve dall’uscita un classico della letteratura mondiale, è un affresco incisivo e indelebile che con immagini ora poetiche ora cruente ci introduce nel mistero di una terra, l’Afghanistan, difficile da decifrare immergendoci in un’atmosfera ora rarefatta e misteriosa ora pregna e ovattata in cui scenari polverosi e rossastri ti svelano con circospezione le tradizioni di una civiltà millenaria suggerendoti l’autenticità e dignità di essa attraverso gli aspetti della vita quotidiana.
Hosseini ci racconta la storia di un popolo attraverso gli occhi di un ragazzo la cui crescita personale viene segnata fin dall’inizio dalla violenza. RaccontoIl racconto del protagonista, Amir, che narra e si narra in prima persona, si dipana dagli anni ’60-’70 al 2002 ricostruendo sullo sfondo delle vicende personali i periodi storici susseguitisi nella sua terra dal 1973, quando un colpo di stato depose il re Mohammed Zahir Shah, fino al 1978 anno dell’invasione sovietica prima e del regime dei Talebani poi. E’ il 1981 che vede il suo esilio e quello del padre negli Stati Uniti d’America ed è il 2001 che segna alfine il ritorno nella sua terra e soprattutto l’inizio della svolta morale della sua esistenza. L’infanzia di Amir pur intrecciandosi quasi indissolubilmente con quella del suo amico-servitore Hassan, di cui egli è al contempo mentore e carnefice, viene condizionata dai pregiudizi, dalle presunte differenze fra classi sociali ed etnie (Amir è pashtun sunnita, Hassan è hazara sciita) e si barcamena nel disperato e conflittuale rapporto con il padre proprio a causa di Hassan.
Amir si presenta quindi come un antieroe che non fa mistero neanche a sé stesso delle sue contraddizioni fino a perpetuarle quasi apaticamente nel tempo pur tormentandosi perché Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. In un quadro dall’altalenante e sfumata psicologia in cui si agitano i fantasmi della vigliaccheria, di profondo e inconfessabile astio e di autolegittimazione dello status sociale di appartenenza che gli conferisce prestigio e altero distacco, Amir durante un’ aggressione ad Hassan non corre in suo aiuto condannandosi a pagare per sempre un attanagliante rimorso di coscienza mentre la causa principe del suo agire, cioè il desiderato afflato spirituale con il padre, ora sembra rafforzarsi, ora affievolirsi. Solamente nell’epilogo del libro, dopo un’inaspettata rivelazione, Amir giungerà finalmente, quasi trascinato dagli eventi e da un destino prestabilito, a riscattarsi.
Nell’universale commedia umana che non conosce confini e latitudini la dicotomia amore-odio e il perenne conflitto interiore tra Bene e Male, tra lealtà incondizionata e paralizzante egoismo, tra latente commiserazione e apparente serenità, costituiscono il filo conduttore del romanzo che tiene desto l’interesse del lettore per il pathos sia dei risvolti psicologici sia degli accadimenti.
I sogni di Amir ora presagi ora desideri fanno da contraltare alla realtà che, celata spesso nel silenzio dei cuori, non diventerà mai verità urlata sia nell’iter intimo che nei rapporti interpersonali cosicchè il contraddittorio pudore dei sentimenti diventerà omertà gratificando le convenienze sociali e non sé stesso. Agli incubi della gretta coscienza e della povertà morale si aggiungono, materializzandosi all’improvviso, quelli più tangibili della fame e dell’indigenza fisica quando gli Afghani, spodestati dalla loro terra, sono costretti ad indossare le ispide vesti dei migranti. Ha fine quindi il tempo della scuola in estate e delle vacanze sulla neve in inverno che consegnano alla memoria paesaggi lussureggianti e tramonti infuocati quali spettatori di drammi personali e sociali, di privilegi e diritti negati. Mentre il filo di aquilone, che viene sotteso all’inizio del libro, ferisce le mani e appassiona il lettore sempre in procinto di spezzarsi e di spezzare l’anima di Amir, che rammenta quanto gli costò compiacere il padre, esplode il dramma dell’emigrazione.
Atroci episodi di omicidi e suicidi in camion-carri bestiame, incessanti pericoli per la sorveglianza dopo l’occupazione russa, corpi e anime soffocati nelle cisterne-nascondigli divenute trappole mortali, si susseguono nella fuga sconvolgendo il tessuto narrativo e proiettando alfine i personaggi in una dimensione estranea in cui si rinuncia alfine a far volare gli aquiloni. Si viene così coinvolti da un’umanità sofferente che, dopo aver smarrito certezze materiali e coordinate etiche, viene trapiantata in un climax narrativo in cui Oriente e Occidente si sfiorano soltanto, ognuno votato al proprio destino. Amir, suo padre e altri prima di loro, si inseriscono nel nuovo tessuto sociale della terra ospite con maggiore o minore fatica , con più o meno compromessi ma non senza rimpianti, con lo sguardo sempre al passato a non voler perdere le radici di tutta un’esistenza “L’America era un fiume che scorreva tumultuoso, immemore del passato.”
“Il cacciatore di aquiloni”, è il viaggio reale di un uomo e quello scarnificante della sua coscienza che vivacchia sul baratro, il viaggio tra i valori imperituri dell’amicizia e i tradimenti, tra le barbarie della guerra e dell’indifferenza tra ricchi e poveri, il viaggio di un migrante che ritornato nella propria terra non la riconosce più e soprattutto quello metaforico di un aquilone che alfine riprende il volo così come Amir riannoda le fila della propria vita fino a risvolti impensabili e al sacrificio. Vince quindi la capacità di risollevarsi con speranza e forza d’animo dopo la sciagura e di riappropriarsi delle proprie radici e sogni. Amir tornerà infatti a Kabul a far volare di nuovo gli aquiloni e a recuperare il passato traslandolo e trasformandolo in un nuovo presente, in una nuova epifania combattuta, commovente e quasi ineluttabile. E così Hosseini conclude: “Correvo. Ero un uomo adulto che correva con uno sciame di bambini vocianti. Ma non mi importava. Correvo con il vento che mi soffiava in viso e sulle labbra un sorriso ampio come la valle del Panjsher. Correvo.”
Essenziali sono le connotazioni paesaggistiche in quadri immutabili e sospesi che si aprono e chiudono senza concessioni leziose e ben calibrati risultano i colpi di scena che modulano la drammaturgia in uno stile costellato da metonimie narrative ed echeggianti influssi della narrativa nordamericana.