di Francesca Cusumano
LOCRI –E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Giuseppe Amante, un padre, un marito, un amico, che la sua famiglia nelle parole della figlia Mariangela, ha voluto ricordare in occasione del recente anniversario.
Un dolore ancora lancinante, una ferita ancora aperta, uno strazio che ad oggi non conosce la rassegnazione, ma anzi se è possibile, rivive sulla propria pelle quel calvario di un anno fa che ha strappato Giuseppe Amante alla sua vita nel giro di tre settimane. L’ennesimo caso di malasanità che la giustizia non ha ancora chiarito, rimettendo al suo posto i tasselli di una dinamica rimasta “sospesa” anche per via dell’emergenza Coronavirus.
«E’ già trascorso un anno dalla scomparsa di mio padre – ha raccontato a Lente Locale Mariangela – un ricordo che non scomparirà mai, perché il dolore è indescrivibile, è un trauma che rimarrà indelebile per tutta la nostra vita. Sviluppi a livello legale – ha sottolineato la figlia di Amante – non ne abbiamo ancora avuti, con il Covid-19 si è fermata anche la giustizia. Tutto, allo stato attuale, resta un’incognita».
I FATTI
Il calvario per Giuseppe Amante ha inizio esattamente il 21 novembre 2019, quando a seguito di un malore, sopraggiungono capogiri, nausea e vomito. Non viene portato subito in ospedale, perché inizialmente visitato dalla guardia medica e dal 118. Questo si verificherà dopo due settimane, quando ad Amante si ripresenteranno gli stessi sintomi, con associata una severa pressione arteriosa e sarà condotto al Pronto Soccorso. Da qui, una serie di esami (su insistenza dei familiari) e una consulenza cardiologica. E la diagnosi riscontratagli fu “ipertensione essenziale”. Passano così due giorni dalle dimissioni di Giuseppe Amante, ma l’uomo continuerà ad avere le stesse problematiche e sebbene gli vengano somministrati farmaci ad hoc, il quadro sanitario non cambia, tanto da indurre la moglie della vittima a chiamare l’ambulanza. Per il 118 si tratterà di “virus influenzale”, ma sarà nuovamente la moglie di Giuseppe Amante a insistere affinchè il marito venga riportato nuovamente in ospedale. È al Pronto Soccorso che un medico comprendendo la gravità del caso, forse un’emorragia cerebrale, dispone una Tac encefalo poi Tac total body, con mezzo di contrasto. In realtà però, solo dopo si scoprirà che la Tac non è stata effettuata con il mezzo di contrasto, come richiesto.
Ed è proprio in ospedale, nel reparto di Medicina, che comincia l’odissea per Giuseppe Amante. La diagnosi per i medici fu “epigastralgia influenzale”. Solo dopo i medici comprenderanno, allo stremo della sofferenza di Amante, che sarà meglio trasferirlo all’ospedale Riuniti di Reggio Calabria, per un’ulteriore verifica radiologica, ma l’ambulanza sarà chiamata in codice giallo. Dunque, secondo i medici, Amante “non aveva una patologia o esami diagnostici rilevanti da poter risultare grave per un codice rosso”. Dopo quasi 6 lunghe interminabili ore e le ripetute sollecitazioni della famiglia (Giuseppe Amante era quasi in stato di coma), si riesce a far cambiare il codice. Ma è all’arrivo a Reggio Calabria che si scoprirà la reale diagnosi, bastava fare una semplice risonanza magnetica:“ischemia cerebrale dell’arteria basilare”. Poche oramai le possibilità di sopravvivenza per Giuseppe Amante, la fase dell’ischemia aveva raggiunto la sua fase più acuta e nonostante il passaggio in Rianimazione, il suo cuore finisce di battere alle 16.05 del 12 dicembre 2019.
«Superficialità e negligenza – ha commentato Mariangela – rappresentano le due parole chiave che meglio definiscono il caso di mio padre e una diagnosi precoce, attraverso un esame radiologico, probabilmente (questo non è dato saperlo), avrebbe salvato la sua vita e oggi chissà, avrebbe potuto essere con noi. L’amica di patologie come ictus e ischemia è la tempestività, tutto il resto è fatale».
«Mio padre – ha aggiunto la figlia di Giuseppe Amante – era un uomo pieno di vita, ad esempio, la sua passione era il calcio, era soprannominato il “Mastro del calcio” e proprio il due dicembre dello scorso anno, aveva fatto la sua ultima partita».
Dare voce a un’ingiustizia, affinchè quanto accaduto a Giuseppe Amante non possa più replicarsi, è il monito della sua famiglia «Quanto accaduto a mio padre – ha concluso Mariangela – è un fatto di una gravità inaudita, ogni giorno che passa sopravviviamo al nostro dolore, non si può scambiare un ictus per una banale influenza. La sanità deve essere un diritto, un diritto fondamentale, del quale non possiamo esserne privati. La nostra famiglia è stata protagonista di un sistema sanitario deficitario, continueremo a lottare perché la giustizia continui a fare il suo corso e perché quanto accaduto non venga dimenticato e soprattutto, perchè non mieti altre vittime».