R. & P.
È facile parlare di sanità quando ti riguarda, ma non nell’immediatezza, quando hai una posizione privilegiata, quando si ascoltano le terribili storie altrui.
Sono però queste storie che dovrebbero farci soffermare sull’incredibile valore della vita umana e sul bassissimo prezzo che oggi ha in Calabria e, soprattutto, nella Locride.
Così parliamo dell’ennesimo caso, sarà rubricato come malasanità o “sospetta malasanità”, ma oggi occorre andare oltre, cominciare a riflettere, non solo sulle responsabilità dirette ma anche su quelle indirette che hanno portato alla morte di Giuseppe Amante.
Un padre, un marito, un amico, un collega.
La persona che oggi vediamo e che domani non c’è più.
Così, cancellata da un colpo di bianchetto, il suo nome scritto con l’inchiostro su una delirante cartella clinica che lo vede ricoverato, poi dimesso con la procedura della firma volontaria all’interno del foglio di dimissioni, come se avesse voluto lui andar via; l’inchiostro che prescrive una tac che c’è (osannata la sua presenza nella stampa) ma che non funziona ancora, perché c’è il solito cavillo che giustifica l’inefficienza ospedaliera locale.
Poi il vomito, i capogiri, le medicine a tamponare gli effetti, ma dove non si riesce a comprendere le cause, analisi richieste ed eseguite a metà (se viene richiesto il mezzo di contrasto occorre usare il mezzo di contrasto).
Ambulanze che tardano ore e ore, corse disperate. Forse un barlume di soluzione? E poi ancora quell’inchiostro sulla cartella, avete avvisato? Non avete avvisato? Cosa fare? Avete fatto tenere il posto a Reggio? No? Si? C’è qualche medico particolarmente scrupoloso? Si, si trova, ma è troppo tardi… arriva in rianimazione e dopo poche ore muore.
Tra le braccia dei figli, della moglie, confusi, arrabbiati con tutti ma anche con se stessi.
Non paga la buona educazione, la moderazione.
Avremmo voluto fare una rivoluzione, come tante se ne sentono negli ospedali calabresi.
Minacce, urli, sedie sbattute ,dottori presi a sberle.
Ma non siamo così, non è nella nostra natura.
E lui se n’è andato, per sempre.
La superficialità, la non professionalità hanno fatto sì che una vita umana smettesse di vivere.
La giustizia chiarirà se è stato così, perché possa rispondere e chiarire su “tutto un sistema” che uccide la gente.
Oggi è capitato a nostro padre, domani a chi capiterà?
LA STORIA
Il 21 novembre Amante ha avuto un malore in cui avvertiva capogiri, nausea e conseguente vomito.
È riuscito a chiedere aiuto alla moglie che lo ha trovato in bagno disteso a terra, cosciente.
Non viene portato in ospedale dopo la visita della guardia medica e del 118, ma i sintomi si ripresentano dopo due settimane.
Questa volta va al Pronto Soccorso, pressione alta.
Una serie di esami… su insistenza dei familiari, anche una consulenza cardiologica, IPERTENSIONE ESSENZIALE, questa era la diagnosi.
Viene dimesso e si scopre nel foglio delle dimissioni che ha firmato rifiutando il ricovero… a sua insaputa.
Passano quasi due giorni e continua ad avere gli stessi problemi: vomito, capogiri, situazione difficile.
Gli vengono SOLO somministrati farmaci per combattere i sintomi ma non bastano, c’è qualcosa che non va.
La moglie insiste, viene chiamata l’ambulanza.
Il 118 lo ritiene affetto da VIRUS INFUENZALE, ma la moglie ancora comprende che non può essere e insiste.
Lo portano in ospedale, il vomito è così forte che quasi lo soffoca.
In ospedale e precisamente al Pronto Soccorso, solo un medico comprende che sta molto male, forse un’emorragia cerebrale, TC encefalo, poi TC Total body con mezzo di contrasto.
Risultato nella norma, solo dopo si scopre che la Tac non è stata effettuata con il mezzo di contrasto come richiesto.
È proprio in ospedale che comincia il calvario e precisamente nel “reparto di Medicina”, per lunghi 3 GIORNI si va a tentativi.
È un’EPIGASTRALGIA INFLUENZALE, questa la diagnosi.
Ma solo alla fine, all’estremo delle forze e della sofferenza del paziente, i medici comprendono che è meglio portarlo a Reggio, all’ospedale Riuniti per un’ulteriore verifica radiologica, ma si chiama l’ambulanza in CODICE GIALLO.
Secondo il parere dei medici il paziente non aveva una patologia o esami diagnostici rilevanti da poter risultare “grave” per un CODICE ROSSO (i sintomi e l’evidente stato di malessere non aveva alcuna importanza).
Sono le 18,00, l’ambulanza potrebbe arrivare anche alle 2,00.
Potete immaginare lo strazio della famiglia.
Quasi in stato di COMA e dopo le insistenze ripetute dei familiari e dopo quasi 6 ORE si riesce a far cambiare il codice e l’ambulanza finalmente arriva, ma si giunge comunque a Reggio alle 2,00.
Altro calvario, lì però scoprono cos’ha.
Bastava effettuare una RMN (risonanza magnetica) per avere una diagnosi.
Ostruzione di un’arteria, ISCHEMIE recenti.
Verso le ore 3:30, il neurologo, che aveva effettuato la consulenza e la relativa diagnosi, comunica ai parenti la gravità della situazione, ovvero l’impossibilità di poter mettere in atto qualsiasi tipo di terapia, poiché l’ischemia era ormai in fase acuta, pertanto consigliava un ricovero in reparto di Rianimazione per il monitoraggio dei parametri vitali.
Amante entra in rianimazione alle ore 5:30 con la seguente diagnosi: “Stato di coma, miotico e puntiforme bilateralmente”.
Ancora una volta vengono comunicate le poche possibilità di sopravvivenza.
Alle ore 16:05 avviene il decesso.
La NEGLIGENZA E LA SUPERFICIALITA’ hanno sopraffatto sulla DEONTOLOGIA PROFESSIONALE.
La diagnosi precoce, attraverso un semplice esame radiologico, avrebbe forse salvato la vita del paziente?
Soffriva da tre settimane e nessuno aveva capito perché.
Forse, poteva essere ancora con noi.
La famiglia di Giuseppe Amante