di Gianluca Albanese
All’Ymca di Siderno hanno rubato le attrezzature da cucina, a Gioiosa un Ente pubblico vuole vendere il terreno dove sorge il centro “Don Milani” e nemmeno io mi sento troppo bene.
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Parafrasare la celebre battuta di Woody Allen è un esercizio inutile, quando si pensa alle brutte notizie che abbiamo dovuto registrare in questi giorni, riguardanti due scuole di vita, oltre che di sport e aggregazione.
Non occorre essere grandi esperti in Sociologia per capire che in una società disgregata come quella attuale in cui tutto è “privato”, è banale e artificiale, in cui le famiglie sembrano aver abdicato al proprio ruolo di agenzie educative, i giovani e i giovanissimi si sentono troppo spesso in difficoltà, soli, senza punti di riferimento.
E avere dei punti fermi come un luogo che include laddove la società esclude, educa laddove la società diseduca, coinvolge con le sue attività mentre il mondo tende a metterti ai margini, riveste un’importanza fondamentale.
Lasciare che certi centri di aggregazione giovanile possano perdere la loro preziosa presenza potrebbe essere un errore che le generazioni a venire pagheranno molto caro.
Ogni paese, chi più chi meno, ha avuto un luogo dell’infanzia e dell’adolescenza. Posti che sanno di sudore e fatica, di ore che volano liete col passare del tempo scandito non da un display di un orologio ma dalla posizione del sole, di mani da stringere e ginocchia sbucciate da disinfettare sotto l’acqua corrente, di canzoni imparate a memoria e cantate tutti in coro (ai tempi dell’infanzia di chi scrive imparammo “Yellow submarine” dei Beatles, pur non sapendo una parola d’inglese…). Insomma, di vita. Di regole imparate e di gioie che derivano da una traiettoria imprevedibile di una sfera di gomma dura.
Non bisogna essere una cassandra o una persona particolarmente pessimista per capire che un futuro in cui dovessero scomparire posti come l’Ymca o il Don Milani farebbe proliferare tutta una serie di fenomeni deleteri del mondo giovanile, magari legati anche a un uso distorto della tecnologia, che invece, se ben usata, può davvero cambiare il mondo in meglio.
Apparteniamo a quella schiera di sognatori che inorridisce di fronte a un giovane dipendente dal videopoker, o affetto da ludopatia; che si scandalizza di fronte a una ragazzina che fa gli spogliarelli davanti alla webcam per racimolare qualche ricarica telefonica o una borsetta firmata; che prova dispiacere di fronte a giovani menti lobotomizzate da un uso improprio ed eccessivo di computer e videogiochi.
E crediamo di essere in tanti a pensarla così. Ecco perchè la tutela dei luoghi di aggregazione non è solo un affare delle istituzioni, ma un patrimonio di tutti noi. Un bene comune da tutelare perché non riguarda il futuro di un’associazione o di un Ente, ma dei nostri stessi figli. Ricordiamocene più spesso.