di Gianluca Albanese
SIDERNO – Quanto accaduto dall’alba al tramonto di una terribile giornata che passerà alla storia come quella dell’incidente mortale di un uomo perbene intento a coltivare la sua passione per la bicicletta sembra frutto della penna di uno scrittore maledetto. Una storia sbagliata, dunque, per dirla con De Andrè.
Il ciclista a livello amatoriale travolto e ucciso da un furgoncino condotto da un calciatore dilettante senza patente e assicurazione, che uccide e non presta nemmeno soccorso all’altro essere vivente trascinato per parecchi metri sull’asfalto e che giace a terra esanime. Un atto di viltà assoluta. Una colpa grave e aggravata dall’omissione di soccorso. Un gesto che ha gettato nella disperazione e nella rabbia chi ha avuto la fortuna di conoscere Roberto Leonardo e che ha alimentato, dopo le prime reazioni di cordoglio, il più che legittimo anelito di giustizia. Una giustizia che passa, inevitabilmente, dall’individuazione del responsabile di quello che è stato derubricato come omicidio colposo con omissione di soccorso. E la risposta degli inquirenti c’è stata. Pronta, efficiente, esemplare. La cronaca, puntuale, tempestiva ed esaustiva, della nostra Simona Ansani, ha evidenziato come, in pochissime ore sia stato individuato e colpito dai militari della stazione dei Carabinieri di Roccella, agli ordini del maresciallo Francesco Nanni, il ventenne di origine marocchina Mohamed Laaribi, venditore ambulante e giocatore di calcio nella squadra del Roccella, che ora è ristretto agli arresti domiciliari in attesa della convalida del fermo e, naturalmente, del processo. Le reazioni dei cittadini, raccolte per strada e nei social network (vere e proprie piazze virtuali dalle quali si può cogliere l’umore della gente in maniera istantanea) sono state di rabbia o, come si dice in questi casi, “di pancia”. La memoria, infatti, è andata indietro di qualche anno, esattamente al 5 dicembre del 2010, quando un marocchino senza patente, per giunta sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ha travolto e ucciso alla guida della propria auto lanciata a folle velocità, sette ciclisti come Roberto, sette amatori alle prese con l’uscita mattutina di un giorno di festa. Va detto, però, che chi ha il diritto-dovere d’informare i propri lettori, non può cedere alla tentazione di lasciarsi andare a reazioni “di pancia”. Deve ragionare, saper cogliere i distinguo e pensare a come valutare le situazioni che si vengono a creare alla luce del vigente ordinamento giuridico. E allora, al di là della dinamica, il paragone diretto con la strage del 5 dicembre 2010 a Lamezia non regge, se non nella tragica successione degli eventi. Per una serie di ragioni, soggettive e oggettive. Le prime ci ricordano che Mohamed – “Momo” per gli amici e i compagni di squadra – non era sotto l’effetto di droga o di alcool. Pare che gli ambienti vicini alla squadra di calcio dell’As Roccella stiano cercando di tutelare la sua disperazione per una leggerezza che pagherà cara. Che deve pagare cara. Ma chi lo conosce vuole che contro di lui non si scateni il linciaggio di chi fa “due più due” troppo in fretta. Ricordano che, seppur senza patente e senza assicurazione, si tratta di un giovane che cerca di uscire da una difficile situazione familiare mantenendosi lontano da ambienti criminali e lavorando sodo, trovando, nel calcio, una ragione di riscatto e una promessa di un avvenire migliore che, alla luce di quanto accaduto oggi, non sarà mantenuta. Era forte sulla fascia dei rettangoli di giuoco, Laaribi. Sgusciava in campo e dribblava agevolmente i difensori avversari. Oggi ha imparato che la giustizia, e chi è preposto a farla rispettare, non si possono dribblare. Nemmeno con una fuga vigliacca davanti a un innocente ucciso, forse, per una tragica distrazione, comunque per una fatalità. Sarà un’aula di tribunale a dare la giusta pena per una colpa gravissima e per l’omissione di soccorso. La cosa tremenda, al di là della consapevolezza che nessuno potrà mai restituirci in vita Roberto Leonardo, è l’assoluta impraticabilità dell’unica, almeno per ora, arteria che collega le nostre cittadine costiere. Una strada, la statale 106, pericolosa per gli automobilisti e motociclisti e vietata, “off limits” per pedoni e ciclisti. Alzi la mano chi, in vita sua, è andato in bici da Siderno a Marina di Gioiosa, da Roccella a Caulonia e non abbia mai provato, almeno, per un istante, la sensazione del pericolo imminente, della morte dietro l’angolo, di un autobus o di un camion che ti “stringono” contro un’auto in transito, o viceversa. Soprattutto dopo la beffarda costruzione di una “pseudo pista ciclabile” sul ponte del Torbido, impraticabile per i ciclisti, specie in direzione Sud e che ha ristretto la carreggiata rendendo il traffico più lento e pericoloso. E allora, tutti abbiamo il diritto-dovere di chiedere qualcosa di più agli altri, avendo ben presente che “gli altri”, siamo innanzitutto noi stessi. Noi che troppo spesso ignoriamo le strisce pedonali, i ciclisti e i pedoni di passaggio sulla statale e sulle principali arterie dei centri più grossi. Noi che dovremmo sempre ricordarci di quelle civiltà più evolute, come, ad esempio, quella olandese, in cui basta che un pedone manifesti l’intenzione di attraversare la strada, che le auto si fermano immediatamente. Noi che abbiamo tutto il diritto di avere piste ciclabili degne di tal nome, dobbiamo, ancor prima che queste escano dai libri dei sogni delle campagne elettorali dei politici, ricordarci di tenere una condotta di guida più prudente e rispettosa del prossimo quando siamo al volante. E il legislatore deve tutelarci di più. Alle forze dell’ordine, che svolgono un lavoro meritorio, difficile e durissimo sul territorio, abbiamo il diritto di chiedere controlli ancora più stringenti verso chi guida senza patente e senza assicurazione. Vorremmo sbagliare, ma la sensazione è che il caso di Laaribi che guidava senza patente e senza assicurazione non sia un caso isolato. E non solo tra gli immigrati extracomunitari, ma anche tra qualche residente senza scrupoli. E allora occorre il pugno di ferro con chi mette a repentaglio l’incolumità altrui perchè oggi, chi subisce un incidente stradale, oltre al danno fisico, non può subire la beffa di un mancato risarcimento da parte di chi non paga l’assicurazione o, peggio, il mancato soccorso per viltà, come accaduto stamattina al compianto Roberto. E’ su queste sfide che si gioca la vivibilità della nostra terra. Il resto sono parole al vento. Non servono. Così come non serve lasciarsi andare a considerazioni intrise di sentimenti di xenofobia, dimenticando che i più esposti ai pericoli di una statale 106 sempre più “strada della morte” sono proprio gli extracomunitari (soprattutto indiani) che non possiedono altri mezzi che bici vecchie e malandate, senza una dinamo a illuminare il loro percorso, nemmeno quando la sera, dopo una giornata di lavoro sui campi pagata poco e in nero, raggiungono gli hard discount fuori del centro abitato per acquistare, coi miseri guadagni, il necessario per poter cenare. Tutto ciò che le loro povere tasche si possono permettere.