di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte web Humanitas)
L’O.M.S. definisce salute “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale che rappresenta uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano”, la nostra Costituzione la garantisce, considerandola come un interesse della collettività e il rapporto tra salute e ambiente ha introdotto inoltre un nuovo diritto, quello di vivere in un ambiente sano con un minimo di inquinamento. I progressi tecnico-scientifici in medicina hanno migliorato il panorama curativo mondiale, ma contemporaneamente si è verificata una disumanizzazione del rapporto tra medico e paziente. Riguardo alla condotta terapeutica dei medici nell’approccio con il paziente, è poco diffusa la tendenza a considerare la persona come monade di anima e corpo. Serve operare a distanza e tramite robot o far viaggiare le informazioni mediche in tempo reale, ma occorre non tralasciare l’aspetto umano delle relazioni interpersonali essendo medici e paramedici a contatto con le persone più vulnerabili della società iniziando da pratiche di facile applicazione: non allontanare il parente che assiste e, nel rapportarsi, eliminare il frasario tecnico.
Non si può formare il personale sanitario solo sulla conoscenza scientifica. Occorre infatti che venga abituato a comunicare in maniera empatica e a riconoscere i bisogni del paziente, anche quelli psicologici, che influiscono fortemente sul grado di accettazione della malattia e sulla reazione ad essa. Nell’art. 38 del nuovo Codice deontologico dei Medici si afferma: “Il medico deve attenersi,nell’ambito dell’autonomia e indipendenza che caratterizza la sua professione, alla volontà, liberamente espressa della persona, di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa. Il medico,compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà.”
La malattia, sempre strettamente individuale e privata, non può essere classificata in schemi collettivi e la guarigione si baserà sempre sull’ impulso antico e insopprimibile dell’uomo in risposta al richiamo di aiuto di un altro uomo.Gentilezza, umanità e rispetto sono spesso valori trascurati e sacrificati sull’altare dell’efficienza della cultura sanitaria moderna. Tra le priorità della terapia, soprattutto nelle malattie croniche, l’O.M.S. ha preso in considerazione anche l’educazione del paziente. Essa è una sfida nel futuro della specialistica ambulatoriale e una tangibile risposta alle liste di attesa, perché il paziente può essere eventualmente aiutato a gestire la malattia a casa propria, da solo o con i familiari, e a cooperare con i medici. Egli, in pratica, potrà quindi raggiungere, in modo attivo, obiettivi stabiliti in precedenza con il personale sanitario acquisendo comportamenti necessari per la gestione quotidiana della malattia e avvalendosi degli aiuti sanitari, sociali ed economici disponibili nel territorio soprattutto per continuare mantenere, il più aderentemente possibile, la propria qualità di vita.
D’altro canto, già prima dell’era Covid, è risultata in forte aumento fra i medici una nuova sindrome, la “patologia da compassione” o “fatica da compassione”, cioè del “patire insieme”. Alcuni medici, infatti, prendono talmente a cuore il dolore e la sofferenza dei loro pazienti da farseli propri. Ciò può provocare uno stress tale da far insorgere questa particolare sindrome. Il medico può restare oppresso dai drammi dei pazienti fino all’esaurimento; se poi addirittura li vive, può arrivare a dei conflitti esistenziali insopportabili. Si potrebbe anche verificare psicologicamente una disarmonia tra il comportamento tenuto dal medico col paziente rispetto al comportamento da lui tenuto nell’ambito sociale, familiare e di lavoro, cioè egli potrebbe dimostrare dedizione al paziente e al contrario conflittualità e disamore nei confronti del prossimo, in tutti gli altri ambiti.
Ultimamente, dopo l’era Covid, è stata monitorata invece la “sindrome da burnout”, che consiste nell’esaurimento psico-fisico delle forze, nella perdita di lucidità e in altri sintomi determinati da uno stato di stress permanente. Con essa devono vivere il proprio lavoro il 52 per cento dei medici e il 45 per cento degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna. Quindi potremmo affermare come ha detto A. de Saint Exupery che “Esiste un solo e vero lusso, ed è quello dei rapporti umani”.
Non si può dimenticare, inoltre, che nei Paesi del Terzo Mondo il diritto alla salute è negato perché direttamente proporzionale all’aumento dell’epidemie dovute alla miseria, alle precarie o inesistenti condizioni igienico-sanitarie, all’arretratezza tecnologica e ai conflitti interetnici delle aree interessate. Un gigantesco divario con i Paesi industrializzati che purtroppo cresce violando l’uguaglianza e la giustizia mondiale, viene trascurato o confinato a spazi minori dai mass-media e di cui ci allarmiamo solo quando veniamo scossi e allertati dalle pandemie. Ci piace ricordare una significativa testimonianza di un anonimo della seconda guerra mondiale che, come prigioniero in Siberia, descrisse su una cartolina la sua esperienza:”Cercai Dio e mi sfuggì. Cercai la mia anima, ma invano. Cercai mio fratello e trovai tutti e tre”.