di Patrizia Massara Di Nallo (foto Humanitas)
La psicologia afferma che l’Uomo, essere sociale per eccellenza, anela all’affetto di chi gli sta accanto e all’approvazione dei suoi simili, ma oggi le relazione interpersonali, soprattutto per i più giovani, sono relegate ai social dove hanno assunto un carattere ripetitivo, asettico e stringato perché sulla rete il tempo per leggere e scrivere è considerato quasi antiquato e inutile.
Le preconfezionate formulette di domande e risposte, le emoticon che risparmiano la fatica di esprimersi con la scrittura, l’omologazione dei sentimenti e delle parole diventati impersonali ci stanno forse affibbiando un ruolo che non avremmo mai voluto ci appartenesse, quello di attori di un teatro virtuale. Ci aiutano in questo gli smiley, le emoji e di recente anche gli animoji e le memoji. Inoltre ultimamente sono stati in parte abbandonati gli acronimi dei messaggi, in auge fino a poco tempo fa, in favore di acronimi americani o di neologismi a metà fra l’inglese e l’italiano come googlare, drinkare, spoilerare, ecc.
Il problema si sta complicando a scuola dove soprattutto la generazione Z (i nati dal 1995 al 2018) utilizza sempre meno la grafia personale. L’uso del corsivo sta diminuendo sostituito dallo stampatello o, ancora peggio, dalla scrittura su tastiera anche per quanto riguarda la firma, ormai “digitale”. Negli Stati Uniti nel 2010 il corsivo è stato eliminato dai Common Core State Standards, una sorta di indicazione programmatica in base alla quale non è necessario che i bambini imparino a scrivere in corsivo, mentre, al contrario, entro la fine della quarta elementare devono dimostrare di avere una padronanza sufficiente delle abilità di tastiera. L’ignoranza del corsivo impedirà alle generazioni future di leggere i documenti trascritti a mano che accompagnano da secoli la nostra storia e la nostra letteratura e quindi alla società di avere un accesso diretto al proprio passato. O forse si ritiene si poter digitalizzare tutte le fonti, i manoscritti e le testimonianze esistenti dei millenni passati? E pensare che oltretutto sono stati scientificamente provati gli innumerevoli vantaggi dello scrivere in corsivo per lo sviluppo completo delle facoltà cognitive di ognuno, nella stretta relazione che esiste tra questo tipo di scrittura e la capacità mnemonica, tra il movimento della mano e il cervello.
I danni più evidenti e incontrovertibili di questa negligenza si rilevano ogni giorno sempre di più. Basta avere la possibilità di ascoltare le conversazioni di alcuni giovani per rendersene amaramente conto. La lingua italiana, ricca di preziosissime sfumature, è sempre più infarcita in un rassegnato silenzio-assenso da vocaboli inglesi a iosa, di cui nessuno cerca il corrispettivo in italiano. Anche gli sciovinisti cugini francesi si sono dovuti arrendere agli inglesismi, ma per quelli legati indissolubilmente alla tecnologia. Oggi, più che mai in passato, il purismo linguistico, su cui si è sempre e inutilmente dibattuto, non potrebbe sussistere in un mondo fortemente globalizzato qual è quello attuale. E la questione non si porrebbe nemmeno se la maggior parte dei ragazzi, e non solo, mantenesse inalterata la capacità di esprimere il proprio pensiero nella lingua madre in modo immediato e naturale. In Italia il negletto uso del nostro idioma pare stia portando in alcune fasce di età ad un impoverimento culturale e nella società ad un’alienazione pericolosa per la nostra identità linguistica. Già molti anni fa Umberto Eco sosteneva che i ragazzi italiani conoscono e usano non più di 500 vocaboli della loro lingua madre. Quel numero sembra destinato a diminuire ancora e purtroppo a questo declino concorrono anche i mass-media. Infatti la televisione ci fa spesso sussultare per alcuni servizi informativi in cui troppo spesso ascoltiamo strafalcioni su strafalcioni e in cui gli errori non sono solo lapsus linguae dei servizi in diretta televisiva, ma vengono sciorinati anche nei servizi registrati per i quali si presuppongono precedenti revisioni e controlli. Negli ultimi anni il peggioramento linguistico è incominciato in sordina con l’uso di piuttosto che (locuzione avversativa) in qualità di ovvero (locuzione disgiuntiva) ed è diventato subito una moda seguitissima. Si è anche subdolamente introdotto da quando sono bambino anziche’ da quando ero e su questa scia proseguono continuamente giornalisti, conduttori e politici con le errate desinenze dei verbi. La terza persona plurale di prima coniugazione: mangiano, parlano, cantano, ecc. sostituiti dai cacofonici mangiono, parlono, cantono ecc. Povere orecchie! I famigerati congiuntivi che tendevano tranelli ed erano additati come la causa di tutti i mali dell’italiano, sono stati soppiantati con …..l’imperfetto indicativo? No, con il nulla. Rimane l’auspicio di una maggiore valorizzazione del nostro italiano che è studiato ed amato da sempre in altre nazioni quale modello inarrivabile di armonia e musicalità ed è per gli stranieri mezzo principe di fruizione diretta del nostro ricchissimo patrimonio letterario. La poca cura della lingua di Dante sembra procedere di pari passo con una sorta di rassegnazione collettiva all’incalzare dei vocaboli stranieri e degli acronimi mutuati da altre lingue, quando gli uni e gli altri potrebbero convivere in un equo arricchimento culturale senza soppiantarsi a vicenda. Basterebbe solo un imprescindibile e salutare esercizio sinaptico-neuronale.