di Francesco Tuccio
Ora che il polverone dell’indignazione dovrebbe essersi acquietato, forse, si può provare a parlarne con pacatezza. Riepilogando. La sera del 19 febbraio scorso, al Festival di Sanremo, andava in onda il tema della bellezza, e quando venne il turno del giornalista Gian Antonio Stella il presentatore Fazio, misteriosamente, cambiò la traccia nel suo esatto contrario e pose la domanda: che cosa è la bruttezza? E Stella svolse il suo temino dicendo: “Io credo che abbia ragione Monsignore Giancarlo Bregantini, che è stato Vescovo di Locri a lungo, che dice che un ragazzo che cresce in un posto brutto è più facile che cresca brutto, e cioè che le mafie hanno bisogno del brutto, hanno bisogno del degrado, hanno bisogno dell’immondizia, perché se tu vivi in un posto che è già un orrore dal punto di vista paesaggistico ecc. ecc, senti meno l’orrore del degrado anche morale, etico, quindi il carattere estetico deve essere accompagnato. Quindi riscattarlo vuol dire riscattare tutte e due le cose, è una cosa fondamentale.“
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Devo confessare. Fin dal primo momento non ho trovato una offesa nei confronti di Locri e della sua onesta, laboriosa e colta comunità. Sarebbe stata una vera, e non credibile, idiozia indicarla come la patria del male assoluto, della bruttezza, dell’orrore, e Stella non è un idiota. Non voglio rinfocolare, né cadere nella polemica, ma Mons. Bregantini, ex prete nel carcere di Crotone dove è stato a tu per tu con i mafiosi reclusi, non necessariamente nella sua esperienza locridea ha potuto maturare la convinzione che “un ragazzo che cresce in un posto brutto è più facile che cresca brutto”. L’affermazione è perfino banale e non occorre scomodare l’antropologia o la sociologia per capirne la giustezza, la linearità e l’universalità del concetto. E, infatti, l’uso successivo del termine “mafie” (non ‘ndrangheta, né mafia e neppure camorra ecc.) ne allarga la validità in una dimensione planetaria, oltre Locri e la Calabria.
Non so se Mons. Bregantini abbia mai pronunciato questo assunto, certamente non l’ha scritto, almeno nel suo libro: “Non possiamo tacere”, dove compie una analisi della mafia nel concreto di tutte le sue sfaccettature e propaggini nella società civile e nella chiesa. Ogni aspetto è approfondito e non manca di puntuali risposte e indicazioni sui diversi terreni: pastorale, morale, civile, etico ed implicitamente, perfino, politico. E qui afferma qualcosa di più grave e di più diretto: “E’ come se la bruttezza dei luoghi esprimesse tragicamente quel desiderio di violazione che c’è nel cuore del mafioso. E, infatti, i paesi più brutti e trascurati sono quelli segnati dalla mafia.”
Cosa dovremmo desumere? Per stare solo alla costa ionica, quali sono i paesi non “segnati dalla mafia”? Scorrendo le pagine, di ieri e di oggi, dei giornali a tiratura nazionale, regionale e locale l’impressione che si ricava è che nessuna delle nostre realtà sia, o sia stata esente da fatti mafiosi, e riscontrando dei collegamenti consistenti in altri luoghi d’Italia, ritenuti immuni, possiamo comprendere quale salto di qualità sia stato compiuto, come si sia affinata ed estesa una capacità pervasiva.
Di fronte a questo processo, non possiamo continuare con la china di un modo di ragionare che porta ai fuochi di paglia del vittimismo offeso e indignato, sterile e disarmante. E’, allo stesso tempo, un travisamento e un occultamento della realtà che non ci è utile e ci condanna alla marginalità definitiva, senza speranza.
Il nostro Eden, ionico e calabro, è ridotto visibilmente. C’è una sorta di saccheggio che sta per giungere al collasso delle nostre risorse naturali. I lungomari costruiti troppo vicino alla battigia sono gravemente danneggiati; la spiaggia erosa dalle colate di cemento; il tempio dorico di Kaulon semi crollato; per ogni Comune della Regione ci sono in media due discariche abusive censite, tra cui alcune molto pericolose; ad Africo si scava per scoprire la fonte di inquinamento che ha causato numerose morti per cancro: a Bovalino vi è un problema amianto dovuto ai diversi siti di smaltimento illegale ed ai numerosi tetti di eternit (e chi non li ha?); la galleria della Limina sulla strada di scorrimento ionica-tirrenica emette soglie di radioattività ben al di sopra della norma; si parla di scarichi occulti di veleni in Aspromonte e di navi con carichi radioattivi affondate nello Ionio, e per le quali è stato assassinato chi investigava; il sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani è in crisi cronica, causando conflitti istituzionali tra gli enti locali e tra gli enti locali e la regione. Al quadro già fosco, sin qui sommariamente elencato, vanno aggiunti i parchi eolici, le centrali a biomasse, quella a carbone che si vorrebbe costruire a Saline, quella idroelettrica sull’Allaro.
L’altra misura incontrovertibile, di queste e delle altre gravi difficoltà calabresi, ha carattere puramente politico, ed a mio avviso è causa primaria. Negli ultimi venticinque anni alla giuda della Regione Calabria si sono avvicendati destra e sinistra, alternativamente. Nessuna delle formazioni politiche ha potuto governare per due mandati consecutivi. Al fallimento della destra gli elettori calabresi hanno votato la sinistra. Al fallimento della sinistra si sono rivolti a destra. Gli esiti del ping-pong elettorale condannano senza appello una “classe” politica ricca di prebende e privilegi, imbelle, ascara del potere centrale e incapace a fronteggiare la secolare emergenza calabrese, che si avviterà e si approfondirà sempre più su sé stessa finché l’indicazione di Mons. Bregantini non diverrà coscienza diffusa e attiva:“La mafia ha orrore della bellezza. Una delle migliori forme di antimafia è il gusto del bello, del buono e del vero. Il destino non è ineluttabile, il Sud può vincere.”
L’ex Vescovo di Locri-Gerace, la bellezza l’ha incarnata esponendosi in prima persona con un impegno quotidiano coerente, con gesti coraggiosi, simbolici e dirompenti. Non possiamo dimenticare che nel primo giorno del suo insediamento gli è stata messa una finta bomba sotto il palco, ed a quell’avvertimento chiaro rispose con il rifiuto della scorta per stare in mezzo alla gente senza condizionamenti. E’ giunto a scomunicare i mafiosi quando avvelenarono l’acqua irrigua della cooperativa agricola del Buonamico. Ricordo, anche, quando prese una posizione contraria all’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Un uomo, insomma, che ha spaziato a tutto campo.
Difendere la bellezza significa capire quanto ad essa sia intimamente legata la qualità della nostra vita civile, culturale, sociale, economica, e quanto sia, ora e subito, grande potenzialità per il futuro dei nostri figli. Significa individuare e combattere i suoi nemici: la mafia, gli intrecci perversi mafia-politica, mafia-istituzioni (quanti sono i consigli comunali sciolti per mafia?), questi politici tutti.
Con dovizia di dati ed argomentazioni, sulle insipienze, le storture clientelari ed assistenziali, le nicchie dilatate del privilegio, i grandi sprechi e i costi dei servizi inefficienti al pari di quelli della politica e della burocrazia, gli ingenti finanziamenti pubblici spesi ed elargiti e le occasioni mancate, è la stessa conclusione a cui giunge il discusso giornalista Stella nel suo libro “Se muore il Sud” (coautore Sergio Rizzo), pubblicato da Feltrinelli nel novembre 2013. Parla di luoghi meravigliosi, di tesori d’arte inestimabili, di risorse economiche decisive. Tutto colpevolmente dimenticato, sprecato, polverizzato. Il Sud è considerato terra che potrebbe essere da traino al cambiamento, alla competitività del sistema Paese, mentre imperversano la mafia e la mala-politica che la condannano al degrado in tutti i sensi. Ed a ben vedere non c’è nulla di nuovo, lo stesso nodo irrisolto dall’Unità d’Italia in poi. C’è una analogia, tenendo conto della differenza dei tempi e delle condizioni, con le denunce e le impostazioni dei grandi meridionalisti del passato: lo sviluppo del Sud come grande risorsa per il Paese, e per realizzare questo obiettivo si è cercato di costruire alleanze e blocchi sociali in un disegno politico unitario, coinvolgente il Sud e il Nord del Paese.
A Sanremo, Stella ha fatto peccato e acquisito un merito. Il peccato ce l’ho in mano. Ha tentato di spostare l’attenzione nazionale sul meridione e sulle mafie, utilizzando il prestigio di Mons. Bregantini. Guarda caso, proprio dove è posizionato il suo libro. Si potrebbe dire che si è fatto una pubblicità occulta?
Ma, su scala nazionale, chi parla oggi di noi? Il meridione è cancellato da ogni agenda. Sparito dai programmi del governo, dalle menti di partiti e sindacati. Dalle nostre menti. Non ci sono uomini e donne di spessore intellettuale nei mondi dell’informazione, della cultura, dell’economia, della politica che, da meridionali, abbiano voglia di cimentarsi seriamente con le grandi questioni.
In questo vuoto di riferimenti, indicazioni e nuove idee alligna soprattutto l’indifferenza e qualche volta l’indignazione, il vestirsi infuriati dell’abito mentale del vittimismo. Di quella debolezza che ancora dopo due secoli non è riuscita a sconfiggere lo stereotipo di tutti i mali dell’universo che ci hanno appiccicato addosso. Evidentemente, ci vuole ben altro!