A Reggio Calabria, nella sala Monsignor Ferro di Palazzo Alvaro, è esposto al pubblico il presepe artistico della Città Metropolitana, opera del maestro Vincenzo Papalia. La mostra sarà visitabile gratuitamente, dal lunedì al venerdì dalle ore 8:00 alle 19:00, per tutto il periodo delle festività natalizie. Il Presepe è stato realizzato anche in collaborazione con A.I.Par.C. Associazione Italiana Parchi Culturali
di Patrizia Massara
REGGIO CALABRIA – Di seguito la fedele e integrale trascrizione di una dichiarazione pubblica del Maestro presepista Vincenzo Papalia (tratta da Youtube): Quest’anno voglio ricordare che son passati 800 anni dal primo presepe di San Francesco, quindi è un momento importante per noi presepisti e noi a Reggio Calabria, attraverso questo allestimento, sicuramente abbiamo rappresentato un’opera veramente importante. Perché presepe napoletano? Il presepe napoletano è un presepe artistico che veniva allestito nelle case nobiliari nel 700 da Carlo di Borbone. Carlo di Borbone si dilettava a sistemare i pastori che commissionava, per esempio, a Giuseppe San Martino,autore del Cristo Velato, e alla moglie Maria Malia di Sassonia che li vestiva con le sete di San Leucio e realizzava questi impianti scenografici. Questo presepe si chiama Scoglio perché la natività non è rappresentata nella grotta, è rappresentata nel tempio diroccato perché Carlo di Borbone oltre a essere un appassionato di presepio era un appassionato di archeologia e fu lui che riscoprì gli scavi di Pompei. Però, se notiamo bene nel tempio diroccato, oltre alla Natività, c’è un corteo che rafforza i Magi: e’ il corteo degli Orientali. Questi Orientali sono legati al fatto che nel 1743 ci fu una grossa manifestazione e ci fu la sottoscrizione da parte di Carlo di Borbone di un trattato antipirateria. Quindi egli invitò queste ambascerie che arrivarono con leoni ed elefanti al seguito della regina Giorgiana. Insomma un popolo variegato e variopinto che colpi i Napoletani che lo inserirono nella seconda metà del Settecento nel presepe napoletano. A destra, invece, c’è la taverna che e’ in contrasto al momento spirituale del Mistero e i napoletani qui si sbizzarrirono, le scene sono tante e sono da guardare proprio nei particolari. A sinistra invece c’è l’annuncio ai pastori. C’è il pastore più importante che si chiama Benino ed è lui che sogna tutto il presepe napoletano A Napoli dicono “guai a voi a svegliare Benino perché, se svegliate Benino, il presepe napoletano,che è un sogno, svanisce”.
Vincenzo Papalia ha realizzato, naturalmente in stile prettamente napoletano, una sua visione del presepe interpretandola artisticamente in chiave calabrese. Oltre alle rappresentazioni dei vari mestieri (dal macellaio al mugnaio, dall’ubriaco addormentato alla venditrice di caldarroste) e della ricostruzione di vari ambienti (tipica la taverna con i suoi avventori), ha infatti inserito scene interessanti dal punto di vista storico e identitario della nostra terra: dalla raccolta del bergamotto, per fare un esempio, ai Bronzi di Riace trasportati da un carrettiere.
L’usanza di riproporre alla devozione popolare la raffigurazione della Natività ebbe origine, come ben si conosce, ad opera di San Francesco d’Assisi che nel 1223, dopo l’autorizzazione da papa Onorio III, realizzò a Greccio la prima rappresentazione di Essa. La tradizione del presepe si diffuse man mano verso il Sud D’Italia e durante tutto il XVI secolo arrivò nel Regno di Napoli e quindi anche da noi Calabresi accomunati dalle stesse vicende storiche. L’ideatore del cosiddetto presepe napoletano, San Gaetano Thiene, iniziò a diffondere l’usanza di costruire presepi anche nelle case aggiungendo episodi di vita quotidiana in cui i personaggi venivano vestiti con abiti della sua epoca. Nel XVIII° secolo a Napoli iniziò una competizione fra le famiglie nobili per l’allestimento del presepe più bello: ad hoc venivano utilizzate intere camere dei palazzi e si ammantavano le statue con indumenti dai tessuti pregiati e autentici gioielli. Probabilmente venivano utilizzati tessuti di pura seta provenienti da S. Leucio (CE) la cui produzione serica insieme ai setifici calabresi ( S. Floro (CZ) e Villa San Giovanni (RC.) assorbiva all’incirca la metà della materia prima prodotta nel paese che pertanto non doveva ricorrere a forniture internazionali. Potrebbe essere stata anche questa via della seta a favorire il diffondersi dell’usanza di questa tipologia di presepi sempre più a Sud, fino in Sicilia. Sarebbe dispersivo dibattere sulla bellezza dei presepi dal punto di vista artistico perché la bellezza dell’arte consiste in quello che riesce a trasmetterti, nell’emozione e nella commozione che essa veicola. Teniamo soltanto a sottolineare che anche nelle nostre case si è sempre più diffusa l’usanza di circondare la Grotta con una miriade di personaggi di cui il Vangelo non ci parla e alcuni dei quali neanche esistevano ai tempi storici della Natività. Abbiamo certamente perso la semplicità dell’essenziale rappresentazione francescana, ma forse più o meno coscientemente abbiamo voluto circondare la Grotta di Noi, della nostra fisica partecipazione oltre che della nostra Adorazione come il Pastore della Meraviglia ( detto anche l’ Estasiato o l’Incantato). Qualche volta, quando scartiamo le statuine dell’anno precedente, ci domandiamo “ ma che cosa ci fa il macellaio con le salsicce nel presepe”? E allora per una sorta di pudore o di pentimento lo spostiamo ai lati, verso Betlemme. Poi ci consoliamo pensando che c’è di peggio, basti pensare alle laiche statuine di San Giovanni Armeno dove sacro e profano si confondono sempre più, in una rappresentazione che non è più Simbolo ma vero e proprio teatro a cielo aperto. D’altra parte Napoli non è essa stessa teatro?
foto fonte Ansa e Dire