di Emanuela Alvaro
SIDERNO – Parlare con una piemontese della Calabria, in questo periodo di risveglio “brigante” ti fa vedere tutto da una prospettiva diversa. Lei è Eleonora Grillo, Laurea in Lettere Classiche, indirizzo archeologico, arrivata in Calabria attraverso l’Università di Torino nel 1987. Libero professionista, collaboratore esterno della Soprintendenza della Calabria.
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Dal punto di vista lavorativo per Eleonora la Calabria è un paradiso, ha iniziato a lavorarci ancor prima di laurearsi, avendo anche l’opportunità di partecipare a lavori molto interessanti. Ha lavorato a Locri in scavi diversi di epoca greco-romana, alla Villa di Palazzi di Casignana dove ha seguito personalmente gli scavi, sempre con la supervisione della Soprintendenza, al Naniglio di Gioiosa Ionica e ora al Parco archeologico di Rosarno.
«Quel che più ha fatto la differenza è che ho potuto fare l’archeologa, veramente! C’è differenza tra lavorare in uno scavo archeologico concepito come tale e fare l’assistenza a un lavoro pubblico. Due lavori completamente differenti».
Racconta dell’esperienza alla Villa di Palazzi di Casignana e della capacità dell’amministrazione comunale che si è data molto da fare per trovare i fondi, riuscendo ad avere accesso ai finanziamenti di vario tipo in circa dieci anni, nel corso dei quali è stato possibile scavare, portando alla luce la villa e valorizzarla.
Eleonora Grillo si sofferma su quello che è il compito delle Soprintendenze e gli aspetti a cui dovrebbero pensare le amministrazioni comunali.
«Le Soprintendenze nascono e operano soprattutto sull’aspetto della tutela e della promozione della ricerca, anche se la tutela e la conservazione sono i primi obiettivi. C’è poi il coinvolgimento e l’interesse che hanno nei confronti di questi beni le amministrazioni locali. Fin troppo facile dare sempre e solo la colpa alla Soprintendenza. Se per esempio non ci sono i cartelli indicatori delle aree archeologiche non è un problema della Soprintendenza. Questo, insieme ad altri, è un compito dell’amministrazione comunale. Diversi aspetti che vengono spesso confusi e sottovalutati, non trascurando il fatto che il problema grosso sono i fondi che scarseggiano e, a volte, le competenze che mancano. Problemi che non riguardano solo i beni culturali, aspetti che frenano molti settori, della cultura e non solo».
Inevitabile chiederle quali e quanti i cambiamenti da quando ha iniziato a lavorare in Calabria e la risposta è anche un po’ prevedibile.
«Il cambiamento è stato minimo e mi riferisco all’attenzione che i non addetti ai lavori hanno rispetto all’archeologia. Sono ventisette anni che sono qui e continuo a sentir parlare delle potenzialità, dello sviluppo, della valorizzazione delle proprie radici e del grande passato che dobbiamo riscoprire, ma di fatto non ho visto fare molto di concreto. Non dico nulla, ma molto poco». Uno sbaglio che, per Eleonora, i calabresi continuano a fare, alimentato dalla scarsa consapevolezza di quello che veramente significa questo patrimonio.
«Un errore degli abitanti di queste zone, ma anche degli amministratori. Senti dire magari di essere andato chi sa dove ad ammirare determinati reperti, poi sei qui e non ti interessa di ciò che ti circonda, ma la cosa peggiore e che non si ha neanche rispetto. L’approccio alla cultura dipende sicuramente dalla sensibilità personale, ma molto anche dagli educatori che hai avuto».
Un discorso questo che per Eleonora può andare bene un po’ per tutta Italia, non solo nella Locride o in Calabria. «Noi abbiamo ricevuto questo patrimonio dal passato, da persone che in qualche modo l’hanno conservato e preservato. Dovremmo avere, prima di ogni altra cosa, il dovere morale di conservarlo per il futuro e invece lo distruggiamo. E questo atteggiamento riguarda un po’ tutto anche il paesaggio e l’ambiente. Noi stiamo completamente snaturando tutto in nome di cosa? È il concetto dell’utilizzare tutto subito, non avendo più alcuna prospettiva sul lungo termine, quello che c’è lo consumo io e adesso. Poi nello specifico le amministrazioni sono fatte di uomini e fare o meno determinati passi dipende da quanto sei consapevole dell’importanza di farli e delle opportunità che ne derivano».
Naturale la riflessione sul progetto del museo cittadino a Locri e soprattutto su ciò che da tempo è chiaro, i turisti si recano al Museo di Locri Epizefiri e poi, però, non vivono la Città.
«È vero, ma è anche vero che il museo di per se non basta. Cito l’esempio di Reggio Calabria che ha avuto e, spero, abbia ancora un museo bellissimo, ma i turisti vengono a visitarlo e se ne vanno. Se attorno al museo non c’è altro, ben poco si potrà fare. Il bene culturale di per sé non è redditizio, non lo può essere. È redditizio l’indotto che il bene culturale crea che poi è quello che si verifica nel resto del mondo. Non è la Tour Eiffel che muove l’economia, ma è tutto ciò che è stato creato intorno. Al Museo di Locri se non si ha un’auto non ci si arriva, perché non c’è un collegamento, la navetta hanno provato ad averla, ma poi tutto è terminato così com’è incominciato. Mi rendo conto che è come un cane che si morde la coda, fra quadrare i conti, la poca richiesta e altro, ma di tutto questo se ne dovrebbero occupare le amministrazioni comunali e non la Soprintendenza il cui compito, ribadisco, è molto frainteso. L’aspetto promozionale, commerciale e turistico è di competenza delle amministrazioni, magari in collaborazione con la Soprintendenza».
Eleonora Grillo fa l’esempio di Casignana, la dimostrazione che, quando tra due enti si vuole collaborare, un accordo lo si trova.
Una zona quella archeologica di Locri che soffre di un altro “male”, essere divisa tra due Comuni, appunto Locri e Portigliola, che invece di collaborare si contendono il primato.
Nella panoramica dell’archeologia calabrese si sofferma anche su Monasterace, un luogo, per Eleonora Grillo, come Rosarno, con enormi potenzialità.
«La scoperta di questo mosaico, ma anche, da non sottovalutare, dell’edificio che lo conteneva, un edificio termale di epoca ellenistica che è uno dei pochi esempi, ce un altro a Locri, quasi del tutto sconosciuto, di questo tipo nell’Italia meridionale, è importantissima. Il mosaico del drago recentemente scoperto è uno dei pavimenti più antichi sempre dell’Italia meridionale. Una zona ricchissima, ancora non si è trovata l’agorà e in più c’è l’aggravante della statale e della ferrovia che in gran parte hanno devastato il sito. Meglio è andata a Casignana dove è stata compromessa solo una porzione. A questo si aggiunge che il Ministero dei beni culturali patisce il fatto di non avere fondi e il gran lavoro si fa con quelli comunitari. Sia Sibari che Monasterace – conclude Eleonora Grillo – pagano la mancanza di programmazione che ormai da anni colpisce il Ministero dei beni culturali. I continui tagli ai fondi ordinari con cui si possono fare opere di manutenzione costante e la mancanza di turnover del personale interno, complicano ulteriormente il tutto. Bisogna ricorrere a interventi straordinari, ma una volta finiti i lavori è la cura costante che manca. Se non si pensa ad una politica dei beni culturali che preveda sempre e in primo luogo la tutela, tutti i siti archeologi non potranno che subire danni. L’orientamento prevalente che spinge molto sulla fruizione del bene, sulla sua “commercializzazione”, non tiene conto del fatto che prima viene la tutela e la conservazione. Serve denaro, ma servono progetti a lungo termine e non interventi “a danno fatto”. E serve rispetto per il nostro passato e per la nostra storia, da parte di tutti».