(foto tratta dal lametino.it)
di Francesco Tuccio
E’ Pasqua in grande parte del mondo. Nelle chiese, per le vie e le piazze dei nostri paesi si celebrano la passione e la resurrezione del Cristo. Riti antichi che pongono la fede nelle sfere celesti chiuse e distanti dai drammi della terra. Bussano forti le tensioni alle nostre porte sorde.
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Laicamente pensi di avere attraversato un’altra stagione della natura, ora che le giornate sono divenute soleggiate e levigate dal vento in un cielo più chiaro e tiepido; però, ogni tanto, ti ricredi quando torna improvviso l’artiglio dell’inverno che si mostra rattristato di dover lasciare la presa e pare non voglia arrendersi all’avanzare della primavera.
Guardi il mare e lo vedi toccato nel suo umore altalenante; sai che ne risente mentre si dispiega sul moto dei tempi d’una partitura musicale, dilagante nella gamma delle cromie, dei ritmi e delle emozioni.
Guardi il mare e non senti più le melodie dei sussurri e dei soffi del vento che spuma le onde e il pendio della battigia consuma e raccoglie nella risacca incessante. Odi grida di sale imploranti, folate di miasmi, zaffate d’orrore.
Giungono da Sud al Sud, su questa frontiera aperta ed invisibile.
Giungono dalle terre dove le ore corrono caliginose, taciturne e spente, e solo chi vede spuntare il sole mattutino può segnare alla vita un giorno guadagnato, mentre gli infiniti volti della morte tendono agguati ferini ad ogni respiro ansante. L’esistenza degli uomini piegati, delle donne stuprate, dell’infanzia rubata è polvere e non vale nulla tra le dune del deserto ignoto, nelle città incendiate, nelle periferie degradate.
Fuggiaschi attraversano il Mediterraneo, solcano acque sepolcrali e di dolore, come sciami umani dentro fuscelli onusti e putridi.
Guardano dal filo del loro orizzonte all’approdo sfavillante delle luci notturne della nostra costa, e sono tutti lumi trepidi di speranza.
Cristo potrà risorgere, ma non salire in cielo.