di Simona Masciaga
PALERMO – L’abbiamo visto più volte e in tutte le salse ma, il Rigoletto di Turturro ci è apparso il più fedele a ciò che Verdi avrebbe, ai suoi tempi, pensato. La voce che diviene strumento dominante e di supporto all’orchestra ( non viceversa) laddove i numerosi duetti e il più esemplare quartetto del terzo atto, non solo dimostrano l’abilità esecutiva e di composizione, altresì, per la vicenda narrata, il dominante pathos dei personaggi; non servono trilli, acuti e gorgheggi (spesso inseriti da giovani direttori moderni per mascherare le loro incapacità e violare, al contempo la partitura originale) in quanto la vicenda e la voce interpretativa ne rende molto l’idea.
Turturro e il maestro Daniel Oren hanno mantenuto fede al grande Giuseppe Verdi senza strafare! Forse un inizio un pò sottotono che mano a mano prende forma e vivacità: siamo a Mantova, Palazzo Te, sala dei giganti (ben rappresentati scenograficamente dalle statue in polistirolo), corte dei Gonzaga che volutamente appare decadente,non suntuosa come ci si aspetterebbe, per sottolineare il lassismo e il menefreghismo di una classe aristocratica dominante ma incurante di tutto: specie per il popolo, per non parlare, poi, della considerazione riservata alle donne.
Proprio per questo motivo, l’opera, dopo la prima alla Fenice di Venezia, avvenuta l’11 marzo del 1851, fu censurata in quanto vista come oltraggio al potere data l’aria ” Cortigiani razza dannata”e ” Vendetta tremenda vendetta”. La punto di vista esecutivo nulla da eccepire al baritono Daniel Luis de Vincente (Rigoletto) e al soprano (sostituita al momento e, di cui ci sfugge il nome e ne chiediamo venia) nel ruolo di Gilda: apprezzati ed applauditi a lungo.
Un appunto va fatto al tenore Ioan Hotel nel ruolo del Duca di Mantova per le due notevoli stecche prese sia in ” Bella figlia dell’amore” che nella tanto attesa e conosciuta ” La donna è mobile” entrambe nel terzo atto: a noi è parso come un motore ingolfato che ne deve riprendere funzione!!!(Il grande Pavarotti attribuiva le sue stecche iniziali allo spicchio di mela che ingeriva tra una scena e l altra! Forse sequela del maestro? A noi non è dato saperlo!).
Le scenografie volutamente minimaliste che spaziano dal suntuoso e dacadente palazzo alla nebbia tipica della pianura Padana, realizzate da Francesco Frigori, trovano completezza negli abiti blu del Dramma Scozzese realizzati da Marco Piemontese creando con il corpo di ballo una perfetta sinergia: solo Gilda indossa abito bianco simbolo di candore, da cui, dopo lo stupro subito, ne scende un drappo rosso sotto la gonna segno della violenza subita e perdita della verginità.
Un plauso va al corpo di ballo del teatro Massimo di Palermo diretto da Jean Sabastien Colau esteso al direttore del coro dell’orchestra Salvatore Punturodi che hanno reso il melodramma più completo e di gusto. Emozionante, coinvolgente, drammatico e sentimentale l’opera verdiana tratta dal romanzo ” Le roi s’ ammuse” di Victor Hugo su libretto di Francesco Maria Piave ci ha indotto a pensare alla disperazione genitoriale di quelle figlie vittime della violenza inaudita e crudele che vanno ad occupare le pagine di cronaca attuale e l’urlo baritonale del ” Ridatemi mia figlia” ci risuona ancora nel cuore.