di Gianluca Albanese
«Il presente del futuro è l’attesa», la scritta letta su un antico murale, che fa il paio con le due sole righe della quarta di copertina «Viviamo per questo, no? In attesa di assaporare questa benedetta felicità».
Due frasi che appaiono consolatorie rispetto alla vena malinconica e nostalgica dell’ultimo romanzo di Carmine Abate, “La felicità dell’attesa” (2015, Mondadori) che ruota attorno al chiaroscuro di ogni storia familiare, al senso di radici e famiglia che a queste latitudini si sente ancora di più e che fa in modo che la penna sapiente dello scrittore di Carfizzi sappia dosare bene fatti realmente accaduti e storie di fantasia.
Tanto, è facile per noi specchiarsi nelle vicende narrate, perché in fondo sono storie comuni a molte famiglie calabresi benché pregne di quelle peculiarità di ogni vissuto personale e familiare che introducono elementi di unicità e specialità.
C’è tutto nel romanzo: la fame e l’emigrazione ma anche il successo e la gloria; le partenze e gli arrivi, quelli voluti e desiderati e quelli dettati da necessità.
E allora, nella terra dell’eterno dilemma tra restare o andare via, l’auspicio dell’autore è che i suoi due figli possano scegliere in maniera libera autonoma se rimanere qui o andare via.
La famiglia rimarrà sempre una delle poche certezze, come il ricordo struggente degli affetti andati, dalla fine delle esistenze biologiche, alla quale fa da contraltare l’eternità dei ricordi e dei sentimenti.
Come a voler ricercare l’essenza della vita, l’autore si rifugia in un universo minimalista, fatto di un presente del futuro che è attesa, attesa – appunto – di assaporare la felicità.
Come se fosse l’altro lato, quello solare, della felicissima metafora usata da Francesco Guccini nella sua altrettanto struggente e malinconica “Incontro”, ovvero di una vita fatta di «Luci nel buio di case intraviste da un treno».
Abbiamo avuto la fortuna di partecipare, lo scorso mese di dicembre, a un reading con cena organizzato dall’attivissima pro loco di Gioiosa Ionica presieduta da Nicodemo Vitetta che ebbe luogo nel rinomatissimo ristorante “Santa Caterina”. In quella circostanza, Carmine Abate cenò insieme ai presenti, offrendo la lettura di brani del libro tra una portata e l’altra.
Fu una gradita occasione per scoprirne la semplicità e l’umanità, mentre le doti da grande romanziere erano note da tempo.
E allora “La felicità dell’attesa” è un libro consigliato a chi vuole scoprire come il proprio vissuto personale possa facilmente specchiarsi in quello dell’autore e delle storie narrate, traendone motivo di consolatoria empatia.
L’importanza della comunicazione nelle varie relazioni associative
R. & P. SIDERNO - Tra le varie aree di interesse che sono oggetto di studio e di approfondimento da...