(ph. Enzo Lacopo)
Carissimi fratelli e sorelle,
Scusate se nel cuore dell’estate distraggo il vostro riposo con questa mia lettera. Lo faccio per la prima volta dieci giorni dopo la mia ordinazione episcopale. Ho un debito verso di voi: esprimervi il mio grazie per l’accoglienza (del tutto immeritata) che avete voluto riservarmi. E soprattutto per la bella partecipazione alla mia ordinazione nella solenne Concattedrale di Gerace. E’ stato emozionante vedere i vostri volti felici, il calore e l’affetto per il vostro vescovo. La vostra amabilità mi rinfranca e mi spinge a dare quanto nelle mie possibilità per rendere la nostra Chiesa sempre più attraente e madre accogliente. Ringrazio per l’accoglienza fraterna e attenta verso i tantissimi fedeli della mia diocesi di origine.
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Ho già detto e lo ripeto: sono contento di essere in mezzo a voi e di godere della vostra vicinanza. Sono contento dei confratelli sacerdoti che mi hanno accompagnato e si sono unti all’abbraccio di saluto. Attraverso di loro si manifesta il volto solidale di una chiesa, vicina alle vostre speranze, alle vostre attese, come anche alle vostre pene e ai vostri problemi. Piace vedere una Chiesa che si presenta “come una madre che carezza i suoi figli con la compassione. Una Chiesa che abbia un cuore senza confini, ma non solo il cuore: anche lo sguardo, la dolcezza dello sguardo di Gesù” (papa Francesco). Una Chiesa che ci faccia gustare la bellezza della compagnia e dell’amicizia con il Signore, che ci aiuti a leggere nelle situazioni della vita, cogliendone le bellezze e le contraddizioni.
Carissimi,
vedo che c’è tanto bisogno nel nostro territorio di accoglienza, solidarietà e condivisione. L’accoglienza anzitutto nei confronti degli immigrati e profughi. Già ho avuto modo di notare quanta attenzione si presta a questo problema in tanti nostri paesi.
Accoglienza nei confronti dei poveri, dei piccoli e dei sofferenti. Ho veramente gioito nel vedere tante forze del volontariato mettersi a loro servizio. Il mio pensiero va ai volontari dell’Unitalsi, che hanno saputo organizzare a Roccella un campo estivo per tanti fratelli e sorelle, cui la sofferenza e disabilità non ha loro tolto il sorriso. Vedo con piacere che per essi è stata individuata una nuova sede più accogliente.
Nei nostri piccoli paesi, specie quelli collinari, molti sono gli anziani che restano nelle loro case. Ad essi va il mio saluto e l’augurio che non restino soli. So che non mancano volontari impegnati a far solo compagnia. E’ questo un servizio che apprezzo molto, ringraziando quanti vi si dedicano con disinteresse ed amore.
Il mio grazie è esteso anche ai catechisti e agli educatori che in questo periodo svolgono attività formative e ricreative a favore dei ragazzi (attività di Grest, campi scuola, ecc.) e portano avanti progetti di formazione.
Un benvenuto a quanti hanno scelto le belle coste della nostra Locride per trascorrere le ferie. Tanti sono i suoi luoghi attraenti e le bellezze storiche e artistiche degne di essere visitate. Sono luoghi che molto conciliano con il silenzio meditativo e la preghiera. Sono certo che, ritornando alle loro case, sapranno veicolare il messaggio che questa terra non è come solitamente viene descritta. A tutti auguro serene vacanze.
Il mio saluto va a tutti i nostri emigrati, che in questo periodo ritornano al paese natio. Noto come i nostri paesi si preparano a riabbracciarli e a far loro festa. Anche se è da rivedere la prassi di duplicare le festività che la liturgia della Chiesa prevede in altri tempi dell’anno liturgico, vedo bello e significativo che si preparino per essi momenti di festa popolare. La festa dell’emigrato è un gesto che manifesta gioia verso chi, a motivo di difficoltà e della mancanza di lavoro, è costretto a lasciare il proprio paese, pur conservando il legame con la propria terra. Far festa in questo nostro tempo e in questa nostra terra è segno di una speranza che non delude. Ma guai se tali momenti di festa divenissero occasioni di evasione e di effimero godimento. Su questo consentitemi qualche annotazione. Mi chiedo anzitutto se il nostro modo di far festa è sempre esente da quelle esagerazioni che confondono la genuina manifestazione di una fede vissuta con espressioni esteriori che spesso nulla hanno a che vedere con essa. C’è modo e modo di vivere la festa. Troppo spesso il nostro modo di far festa che non bada a spese e che è facile tacciare di consumismo (cantanti, fuochi, luminarie, ecc.), serve poco alla nostra crescita umana e spirituale, culturale e sociale. Mi chiedo come questo possa conciliarsi con la vita sofferta di tanti che faticano a trovare un lavoro e sono costretti a prendere la via dell’emigrazione. Resistono ancora processioni dalla lunga durata, durante le quali tutt’altro si fa che pregare. Esse nascondono radici che sanno di paganesimo o comunque sono evidente commistione tra sacro e profano. Ciò che mi duole di più è che sono occasioni mancate.
Mancate, quando non sono occasioni di preghiera e di ritorno a Dio,
Mancate, quando potevano essere momenti aggregativi e di riflessione, di crescita culturale e sociale e si sono trasformate in occasione di semplice divertimento di effimera durata,
Mancate, quando potevano prevedere gesti belli di solidarietà e di progettualità caritativa, destinando parte delle offerte dei fedeli a tali finalità, mentre tutto è stato consumato nello stile di un consumismo esasperato, in costosi spettacoli di una o più serata, in luminarie e fuochi d’artificio. E così, poveri eravamo e più poveri siamo rimasti.
Mi chiedo (e lo chiedo a tutti, particolarmente ai sacerdoti): non è il caso di avviare nelle nostre parrocchie, nei gruppi e movimenti ecclesiali una seria verifica sul nostro modo di far festa? Credo sia il caso di riprendere la riflessione dopo che i rumori della festa saranno andati via.
Ringrazio quanti, sacerdoti e parroci, Comitati feste e Congreghe e Confraternite, che si adoperano per educare ad una mentalità nuova, che si traduca in gesti evangelici. A voi dico: vi sono vicino. Non sarete lasciati soli. Ma abbiate il coraggio di osare vie nuove e modalità che sviluppano una coscienza di fede incarnata e danno del nostro essere cristiani un’immagine più vera.
A tutti va l’augurio di un periodo di riposo sereno e distensivo.