di Antonio Baldari
Primi passi della nuova “gestione Valditara” che fa segnare dei concreti seppur timidi passi in avanti quando nel Vecchio continenti si è già un bel pezzo in avanti, mentre ancora alcun pronunciamento su quanti attendono di essere stabilizzati dopo anni ed anni di servizio che, in tal caso, non otterrebbe il giusto riconoscimento che, sempre l’Europa, chiede dall’ormai remoto 2014.
“E pur si muove!”. Potrebbe essere definito con questo assunto di galileiana memoria il primo assaggio di azione istituzionale del neo ministro dell’Istruzione e del Merito italiano, Giuseppe Valditara, che nel giorni scorsi ha fatto registrare dei concreti ancorché timidi passi in avanti in relazione al contratto nazionale per la Scuola: un vincolo che era bloccato da quattro anni e che oggi è stato aggiornato con cento euro nella busta paga dell’ormai imminente mese di dicembre e con poco più di centoventi euro dal prossimo gennaio 2023; sono stati altresì registrati gli emolumenti in arretrato, e segnatamente agli ultimi tre anni, che hanno fatto balzare agli onori della cronaca una sorta di “NATALE RICCO PER GLI INSEGNANTI”, sommando lo stipendio di dicembre con il predetto aumento, la tredicesima mensilità e, per l’appunto, gli arretrati.
Un modo come un altro, però, di gettare fumo negli occhi su quella che è la sempre critica situazione in cui versa il mondo della Scuola italiana da ormai troppi anni, benché le sopraccitate somme verranno versate a favore degli insegnanti e del personale Ata, indubbiamente una vera e propria “boccata d’ossigeno” ma anche e soprattutto un qualcosa in più rispetto a ciò che in più il personale della Scuola italiana produce ogni anno e che, puntualmente ogni anno, non viene riconosciuto: relativamente ai soli docenti si parla di qualcosa come 800 ore di “lavoro sommerso” che vengono tassativamente lavorate anche e soprattutto come attività extra-scolastiche, ossia, per lo più, a casa e per le quali mai nessuno riconoscerà un solo centesimo. Senz’altro una chiara ingiustizia.
D’altro canto, se il sopraccitato aumento dicembrino e quello che verrà con il nuovo anno lo si mettesse a confronto con gli altri Paesi europei di maggior prestigio, ma anche di normale rango, per così dire, di primo acchito ci si accorge che il raggiunto livello economico per le effettuate prestazioni professionali degli insegnanti è piuttosto lontano dagli standard che, attualmente, sono riconosciuti ai colleghi del Vecchio Continente: di fatto, di strada da fare, nel BelPaese, per dimostrare sotto questo aspetto che ci si vuole seriamente e concretamente impegnare per il variegato mondo dell’Istruzione beh, va doverosamente sottolineato che ce n’è ancora parecchia da coprire.
Ad ogni buon conto, la questione è certamente molto più profonda, non è soltanto di carattere economico ma anche di carattere professionale posto che, tra i toni trionfalistici dei giorni scorsi, sono stati del tutto assenti i riferimenti che sono da ricondursi ai cosiddetti “precari storici”, ossia a coloro i quali, fattivamente, consentono ogni anno, a settembre, di far girare nella toppa la chiave per aprire i cancelli di ogni singolo istituto; “precari storici” di cui nessuno dice tranne proprio l’Europa dall’ormai remoto 2014 con una direttiva comunitaria – è bene ricordarla sempre e comunque – che sancisce “la stabilizzazione di coloro i quali sono stati impiegati nella Pubblica Amministrazione per trentasei mesi, anche non continuativi”: tali soggetti devono, e non già possono, essere stabilizzati!
A naso, e neanche tanto lungo, c’è la sensazione che si voglia far decantare la cosa a tutto vantaggio di corsi, formazione, diplomi, attestazioni varie, perfino il fantomatico “anno di prova” che, per uno che si sfianca da vent’anni e più su e giù per le montagne e le riviere di ogni dove, suona come una vergognosa beffa: ed invero, cosa dovrebbe dimostrare un professore “precario storico” che insegna da così tanti anni? Che sa fare il professore? Ci piace in tale sede rievocare un antico adagio popolare secondo cui “ ‘A PRATICA RUPPA ‘A GRAMMATICA”. E, a buon intenditor, poche parole bastano. Staremo a vedere dove e come si vorrà arrivare.