DI SEGUITO RIPORTIAMO L’OMELIA PRONUNCIATA DA S.E. MONSIGNOR FRANCESCO OLIVA DURANTE LA MESSA DI IERI- ULTIMO GIORNO DELL’ANNO 2014:
Alla fine di questo anno sentiamo il bisogno di stringerci attorno al Signore per lodarlo e ringraziarlo dei benefici concessi alla nostra vita e alla nostra chiesa. Viene spontaneo pensare ai momenti più importanti che abbiamo passato in questi primi cinque mesi con voi e tra voi, mentre scorrono davanti a noi le gioie condivise, le prime difficoltà, i percorsi intrapresi. Troppo poco è stato il tempo per tracciare bilanci. Li lasciamo fare a chi guida la nostra storia e ci conduce per mano. Ed allora più che pensare al passato è il caso di guardare in avanti.
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“Questa è l’ultima ora”, scrive l’Apostolo Giovanni invitando la comunità ad essere attenta e vigilante. “Ultima ora” non in senso cronologico, quanto “teologico”. Non è riferimento alla durata del tempo, quanto alla sua qualità: tempo della venuta del Signore, tempo decisivo e urgente. E’ l’ultima ora perché è tempo di pienezza: il tempo dell’incarnazione e della Chiesa. E’ questo il momento favorevole (kairòs), non tempo di attesa, ma di decisione. “Ora voi avere ricevuto l’unzione dal santo e tutti avete la conoscenza”, “conoscete la verità”. La Verità è il Cristo, il Logos, la Parola increata che si è fatta carne, è venuto tra noi, tra la sua gente. Egli è la luce che illumina il tempo, la storia e la nostra vita. Questa sua rivelazione di Dio provoca la divisione tra il “mondo” ed “i suoi”, tra le tenebre e la luce. Tutto il nostro tempo si misura in riferimento a Colui che “era in principio”. Nella fedeltà a Dio e nella costante accoglienza del Logos, della Parola è scandito il tempo, il nostro tempo.
L’Eucaristia che celebriamo con il canto finale del Te Deum esprimono bene i nostri sentimenti di ringraziamento e di lode: «Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore». A Te affidiamo la nostra vita con immensa fiducia: «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». Qualunque sia stato l’andamento dell’anno, facile o difficile, sereno o turbato, lieto o triste, rendiamo grazie a Dio. Riconosciamo che il tempo è grazia, ma anche un’opportunità affidata alle nostre mani e alla nostra intelligenza, e che nel mondo, nonostante tutto, c’è tanto bene, anche se non sempre riusciamo a coglierlo, abituati come siamo a dar risalto più alle cose negative. Il bene non fa notizia e la cultura che ci circonda dà più risalto alle efferatezze, alle violenze e negatività che non mancano. Questo accade anche nella nostra terra, ove fanno sempre più scalpore le efferatezze e violenze, che portano a trascurare ogni gesto di solidarietà e di servizio e tutta la fatica quotidiana che il nostro popolo vive con fedeltà e pazienza. Sottolineando impietosamente solo le fragilità e negatività, viene gravemente ed ingiustamente offesa la dignità di un popolo che affronta la vita tra tanti disagi, ma con fiducia e speranza. Nel corso dell’anno non sono mancate ragioni di sofferenza, episodi di violenza tra le mura domestiche e gli affetti familiari, come anche morti sulle nostre strade. E’ viva la memoria della recente tragedia accaduta alla Limina che ha lasciato un grandissimo vuoto e sofferenze in tante famiglie.
Non sono mancati le note liete per la nostra chiesa. Per me rimane indimenticabile quel caldo pomeriggio del 20 luglio la vostra vicinanza e preghiera, l’accoglienza affettuosa di un popolo in festa. Un’ora vissuta nella solenne Cattedrale di Gerace in cui per l’effusione dello Spirito la mia vita veniva consacrata al servizio di questa Chiesa.
Il tempo che scorre invita a fermarsi e a riflettere. Non possiamo lasciarci travolgere dal ritmo vertiginoso degli eventi; dobbiamo saper sostare nel silenzio, nella meditazione, saperci fermare per pensare. In questo modo saremo in grado di guarire dalle inevitabili ferite del quotidiano, raggiungendo quella sapienza che permette di valutare le cose con gli occhi di Dio. Soprattutto nell’intimità del nostro cuore, laddove Dio parla, ci aiuta a discernere con verità le nostre azioni, come anche il male presente, e ci rende capaci di osare il nuovo per il bene del nostro popolo.
Ho iniziato il mio servizio episcopale tra voi proponendomi di mettermi in ascolto, in dialogo con tutti i confratelli sacerdoti. Tutto questo mi aiuta a comprendere le problematiche della nostra chiesa oltre che a conoscere meglio coloro che il concilio definisce “i primi cooperatori dell’ordine episcopale”. Con loro abbiamo condiviso l’urgenza di un percorso di formazione permanente che ci aiuti ad interpretare meglio il servizio ministeriale, convinti che esso deve essere attento ai bisogni concreti della nostra gente e deve farsi eco del Vangelo in ogni casa e in ogni ambiente.
Il Sinodo straordinario sulla famiglia ha favorito la nostra riflessione sul “mistero grande”, la famiglia, che ci accoglie sin dal primo momento e ci accompagna con quel calore di umanità che avvolge tutta la nostra vita, ci educa al senso del bene e ci apre alla dimensione del dono e della gratuità. Come comunità credente abbiamo avvertito, grazie alle sollecitazioni di papa Francesco e dei Padri Sinodali, un forte invito a mettere al centro delle attenzioni pastorali quel “bene comune” che è la famiglia, annunziando con coraggio il “vangelo della famiglia”. Questo impegno apostolico urge nell’odierno nostro contesto culturale, che rischia di offuscare il valore e l’insostituibilità di un bene così grande. Il nostro cammino pastorale parte dalla consapevolezza che la famiglia costituisce il riferimento unificante di tutta l’azione pastorale della chiesa. La presenza in diocesi di gruppi di famiglie, nei quali si ascolta la Parola di Dio e si condividono le esperienze di vita cristiana, aiuta a rafforzare il senso di appartenenza ecclesiale e a crescere nell’amicizia con il Signore.
Sappiamo quanto la famiglia sia oggi soggetta a profonde trasformazioni a livello sia culturale che strutturale, troppo condizionata da una concezione individualistica e da scelte decise dai partners su motivazioni più affettive o emozionali che progettuali. Tantissime famiglie, anche nella nostra terra, sono pesantemente segnate dalla perdita o dalla mancanza di un posto di lavoro: un numero elevato di famiglie si trova in grave difficoltà ad arrivare a fine mese con le poche risorse disponibili, spesso sopraffatte da gravosi tributi e dalle spese dei mutui contratti.
La crisi economica e finanziaria che ci portiamo dietro ormai da troppo tempo pesa maggiormente sull’economia di regioni povere come la nostra. I dati sono sconcertanti: nel 2014 ogni giorno hanno chiuso i battenti 326 imprese. Nei primi nove mesi dell’anno hanno chiuso le loro attività ben 88 mila imprese meridionali. Le imprese che chiudono non sono compensate dalle nuove: il saldo del 2014 vede 10 mila imprese in meno. Una emorragia questa che non può passare inosservata in un paese che fa della “solidarietà” un valore fondamentale, esigendo all’art. 2 della Costituzione “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Al Sud ormai quasi una persona su due ha rinunciato a cercare un lavoro regolare. Siamo davanti ad una crisi che fa riflettere. C’è chi afferma che nel prossimo futuro siamo chiamati a vivere sotto il segno del meno: meno ricchezza, meno prodotti, meno consumi. Più poveri, insomma. Anche se noi meridionali ci siamo abituati, non sembrano esserci alternative. Gli scenari che si prospettano sono nel segno di una cultura della minore ricchezza, di un benessere più limitato. Il minor benessere si ripercuoterà necessariamente su ogni aspetto della nostra vita.
Abbiamo avuto modo di constatare direttamente le conseguenze di questa crisi, osservando l’aumento di coloro che ricorrono alla mensa dei poveri predisposta in “Casa S. Marta”. Tra essi compaiono interi nuclei famigliari. Prendiamo atto ringraziando il Signore ed i volontari della caritas che sono state avviate diverse iniziative di solidarietà nella nuova struttura diocesana “Casa Santa Marta”. Questo vede premiati gli sforzi e l’impegno di tante risorse della nostra chiesa. Consola anche il fatto che, seguendo gli stimoli e le proposte formative della Caritas diocesana, anche le Caritas parrocchiali provano a mettere su nuove forme organizzative, che privilegiano la dimensione pedagogica e formativa. E’ questo il cammino che vogliamo seguire per dare concretezza alla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Negli incontri di clero a livello vicariale abbiamo preso atto di quanto sia vera l’affermazione di papa Francesco che “se questa dimensione non viene debitamente esplicitata si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico ed integrale della missione evangelizzatrice” (EG 176). Su questa opzione desideriamo lavorare ed impostare le nostre scelte pastorali, in modo da rinvigorire la dimensione missionaria della pastorale ordinaria. L’obiettivo è fare in modo che i laici da collaboratori diventino fedeli corresponsabili della missione della Chiesa. E in questa direzione che desideriamo andare.
Cari fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti,
in questa ultima ora dell’anno, lodiamo con gioia il Signore! Manifestiamo a «Colui che è, che era e che viene» (Ap 1,8) il desiderio di “cieli nuovi e terra nuova” ed in ginocchio esprimiamo il nostro pentimento con una sincera richiesta di perdono, come pure diciamo un grazie sincero per i tanti benefici ricevuti. Sappiamo che viviamo in un mondo non da soli ma con Dio; operiamo nel mondo, ma al cospetto di Dio; moriremo al mondo, ma rimarremo affidati a Dio. In Lui riponiamo la nostra fiducia, affidandoci non tanto alla sua onnipotenza quanto “alla sua fedeltà”. Per questo possiamo cantare nel Te Deum: “In Te Domine speravi; non confundar in aeternum”. Ho sperato in Te, Signore. Ed io aggiungo col salmista “Speravi in misericordia Dei”, “confido nella fedeltà di Dio in eterno e per sempre”. Abbandonarsi alla fedeltà del suo amore non per un giorno, ma “ora e per sempre”, è lasciarsi afferrare da Lui in un vortice di tenerezza che l’umana esistenza.
Auguri di un nuovo anno ricco delle benedizioni del Signore, di pace e di riconciliazione. Ne hanno bisogno le famiglie, spesso divise e contrapporte. Ne hanno bisogno le comunità civili, specie quelle sciolte per infiltrazioni mafiose. Ne hanno bisogno le comunità parrocchiali chiamate a vivere l’Eucaristia domenicale come momento fondamentale di unità. Ne abbiamo bisogno tutti.
AUGURI E BUON ANNO A TUTTI.
+ Francesco,
Vescovo di Locri-Gerace