di Adelina B. Scorda
Ci ha forgiato così la nostra terra, troppo attenti a difenderci, tanto da sentirci sempre sotto accusa, tanto da insorgere contro chi dichiarando l’ovvio non dice nulla di nuovo per occhi e orecchie che da sempre hanno visto e udito gesti e parole reverenziali verso chi pretendeva onore e rispetto.
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Ogni singolo comune di questa lingua di terra chiamata Locride, è intriso di tradizioni, di quel miscuglio tra arcaico e moderno, tra lecito e illecito, pieno anche di‘ndrangheta, dove un inchino segno di rispetto sano e vero, assume connotati biechi e distorti. L’emarginazione, poi genera rabbia e razzismo, una sorta di invidia o gelosia verso chi ha avuto più coraggio andando via. Un “inchino”, un altro giornalista sotto scorta, un processo mediatico, poi le dichiarazioni di Giovanni Tizian, cronista dell’Espresso, sotto scorta dal 2011, figlio e vittima di mafia, nella trasmissione “Uno Mattina Estate” sui fatti di Oppido Mamertina. Da qui il rimbalzo di accuse, fraintendimenti e prese di posizione da parte anche del sindaco di Bovalino, paese d’origine di Tizian. Eccola la frase sotto accusa: “Io sono calabrese, vengo dalla Calabria e da ragazzo ricordo bene alcune processioni che sfilavano sotto casa dei boss, quindi non è una novità (riferendosi all’inchino)”. L’intervento di Tizian prosegue senza mai accennare al suo paese d’origine, Bovalino, o alla processione di San Francesco né tantomeno a quella dell’Immacolata, o all’Affruntata di Bovalino Superiore. Per questo, non me ne voglia chi nel bollettino parrocchiale in una riflessione dal titolo “Pane al Pane” scrive: “Ora bisogna guardarsi non soltanto dalla mafia, ma anche dall’antimafia – parte da qui, riprendendo Leonardo Sciascia per poi proseguire dicendo – A queste parole ho pensato stamane […] mentre Giovanni Tizian che con sicumera quasi eroica ricordava di quand’era bambino e nelle processioni di San Francesco di Paola in estate anche a Bovalino si era soliti far fare l’inchino fermando la processione”. La puntualizzazione non farebbe una piega se non fosse che Giovanni Tizian, Bovalino non l’ha mai nominato. Si potrebbe controbattere, affermando che, il solo dire di essere Calabrese equivale a specificare il paese d’origine. È vero Giovanni Tizian è di Bovalino, e aveva sette anni quando suo padre fu ucciso il 23 ottobre del 1989. Dopo quel tragico evento la sua vita cambiò completamente e forse il giornalista che è Lui oggi lo deve un po’ anche alla sua storia. Ma in questo caso la sua storia non ha importanza, genera interesse il caso mediatico e lo sdegno di mezza Locride che si riversa sulle parole di Tizian, additato come ciarlatano che sfrutta il nome di Bovalino per costruire la propria carriera. Anche il consiglio comunale di Bovalino, si è sentito in dovere di intervenire per difendere il buon nome della città. Uno spreco di energie eccessivo o forse mal diretto, perché Bovalino, forse, più vittima che carnefice, ha subito sequestri e “invasioni”, vivendo nel caos totale di una Babilonia che noi stessi abbiamo voluto, “inchinandoci” al colore e all’odore dei soldi più che all’amore per la nostra terra. Tutta questa veemenza, questo sdegno, potrebbero essere impiegati contro chi ha ridotto questa terra allo stremo, senza fabbriche, né servizi, senza strade, ospedali, dove in diritto diventa favore. Può piacere o no Giovanni Tizian, ma le sue dichiarazione non mettono alla gogna Bovalino, forse è Bovalino che sta facendo il contrario.