di Gianluca Albanese
SIDERNO – «La Questione Meridionale esiste ancora, e noi abbiamo scritto questo libro per dire come lo Stato l’abbia rimossa dalla sua agenda. Lo stesso Renzi, nel suo discorso d’insediamento in cui esordisce al Senato come presidente del Consiglio non parla mai del Sud». E’ un Gian Antonio Stella inedito – almeno dalle nostre parti – quello che si concede, non senza qualche diffidenza iniziale, ai taccuini di Lente Locale. A due settimane dalle dichiarazioni rese dal giornalista e autore di libri inchiesta come “La casta”, sul palco del festival di Sanremo, che hanno suscitato polemiche e indignazione in vasti settori dell’opinione pubblica locridea, tanto che il sindaco di Locri Giovanni Calabrese ha deciso di adire le vie legali, Stella si confronta in maniera schietta e senza filtri con la nostra testata, senza arretrare di un millimetro dalle proprie convinzioni, parlando della nostra terra, delle sue esperienze in zona ed esprimendo le proprie opinioni in maniera franca.
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Iniziamo partendo da una prospettiva diversa dalla polemica la cui eco non si è ancora spenta, partendo dai contenuti del tuo ultimo libro “Se muore il Sud” (Feltrinelli, 2013) scritto a quatto mani con Sergio Rizzo. A quanto pare la tesi che sta alla base della scrittura del tuo ultimo lavoro è che lo sviluppo dell’Italia non può prescindere da quello del Mezzogiorno…
«Certo. L’Italia non esiste senza il Mezzogiorno. O forse sarebbe meglio dire che non esiste senza “i” Sud. Perché ci sono diversi “Sud” e la situazione non è omogenea in tutto il territorio meridionale».
Parlate anche della Locride, nel libro?
«Sì. Ad esempio abbiamo trattato la questione dei disoccupati veri e di quelli falsi, enumerando i dati relativi al ricorso ai contributi per i falsi braccianti agricoli. Nel 2012, il 70% delle domande di disoccupazione in agricoltura veniva fatto in quattro aree del Paese: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia; in Calabria c’è una pratica ogni 19,6 abitanti, a fronte di un dato relativo alla Lombardia di 1 su 921. Alla sede Inps di Locri ne sono arrivate 11.610 cioè più che in tutta la Lombardia, nonostante in quest’ultima siano insediate 44.000 aziende agricole. E qui, certo, c’è qualcosa che non torna. Come del resto sanno tutti i braccianti “veri” e tutti i calabresi perbene».
Poi?
«Poi si parla ancora di Locri perché viene descritto un viaggio molto affettuoso del compianto Candido Cannavò per andare a trovare l’allora vescovo di quella diocesi Bregantini. C’impiegò un sacco di tempo e questo è stato il punto di partenza per parlare di uno dei temi del nostro libro, come i trasporti che nel Sud fanno schifo. E’ indecoroso il modo in cui le Ferrovie dello Stato e insieme le Regioni, dopo il passaggio di competenze, stanno trattano i viaggiatori meridionali. Io stesso, ai primi di gennaio scrissi sul Corriere della Sera di come sulla linea Reggio Calabria-Taranto sia indecente che venga spacciata per treno Intercity una vacca mora che da altre parti viene usata solo per i viaggi al massimo di 50 chilometri. È lì più che altrove che vedi come esista ancora la questione meridionale: i cittadini del Sud, e in particolare calabresi, siciliani e lucani, sono trattati malissimo sui trasporti».
Sembra di capire che però descrivi situazioni vissute e descritte da altri, di testimonianze “de relato” e non da cose che hai visto coi i tuoi occhi e sentito con le tue orecchie…
«Questo è assolutamente falso – risponde Stella – perché io sono venuto decine e decine di volte in Calabria e dalle vostre parti. Ricordo, ad esempio l’esperienza assai positiva che vide protagonista proprio monsignor Giancarlo Maria Bregantini che attraverso la collaborazione tra cooperative sociali fece un tentativo teso a dimostrare che anche in realtà difficili è possibile ricavarsi uno spazio a livello nazionale. Vorrei ricordare che fui io a ironizzare sulla richiesta del certificato antimafia all’allora vescovo Bregantini, spiegando appunto che se tu vai a cercare di sottrarre i figli delle famiglie mafiose alla ‘ndrangheta è ovvio che devi andare a insediarti in un territorio prendendo atto di quello che è. Dopodiché ricordo un servizio molto lungo per L’Europeo ad Africo Nuovo, dove recuperai anche una delle bambine fotografate in uno scatto straordinario del grande Tino Petrelli per un memorabile reportage del 1949. Mi raccontò che per fare quella foto vincendo la loro resistenza quel fotografo straordinario regalò loro l’unica caramella che aveva in tasca. “Non ne avevamo mai assaggiata una”, mi raccontò quella bambina ormai anziana, “e quella caramella ce la passammo di bocca in bocca tutti i bambini dei dintorni”. Così era, nel dopoguerra, la vecchia Africo. Povertà assoluta».
Altre visite?
«Tante. Anche per motivi di cronaca quotidiana. In tutta la Calabria. Anche in anni lontani. A Siderno, ad esempio, quando fu liberato Carlo Celadon. O per i 150 anni dell’Unità d’Italia per un servizio sui Martiri di Gerace. Sono stato da quelle parti anche in vacanza. Conosco la Calabria metro per metro, compresi i danni fatti da certi insediamenti industriali di rapina fatti da imprenditori del Nord».
Ah, dunque hai conosciuto una città d’arte come Gerace. E le nostre bellezze archeologiche, come il Naniglio di Gioiosa Ionica, gli scavi di Locri Epizephiri, l’antica Kaulon, le hai conosciute?
«L’antica Kaulon no, anche se mi ripromettevo di venirci a breve perché so che sta scivolando al mare per un problema molto serio. Conosco invece la storia della Repubblica Rossa di Caulonia che è molto affascinante. Avevo anche pensato di scriverci un libro perché è una storia davvero incredibile ed interessante che ho studiato in maniera approfondita».
In quel caso, il Pci ebbe le sue responsabilità nei confronti del leader rivoluzionario Pasquale Cavallaro…
«Enormi»
Hai citato Africo Nuovo. Lo sai che un grande scrittore contemporaneo del genere noir come Gioacchino Criaco è di Africo? Sai che Corrado Alvaro era di San Luca e Francesco Perri di Careri? Non credi che anche questi aspetti della nostra terra vadano adeguatamente evidenziati?
«Se parliamo della Calabria intera aggiungiamone almeno un paio e cioè l’arbereshe Girolamo De Rada che è tra i massimi poeti albanesi e oggi Carmine Abate. Tra quelli della Locride amo molto Alvaro. Con il romanzo “Il maestro magro” che racconta di un maestro meridionale qualche anno fa ho perfino vinto il “Premio Alvaro”. È ovvio che determinati aspetti positivi vanno evidenziati e che si deve uscire da quel meccanismo infernale secondo il quale tutto il male sta da una parte e tutto il bene dall’altra. Sappiamo che non è così. Il problema è molto più complesso. Ad esempio, per capire come Platì sia un paese difficile e incattivito, occorre ricordare la ferocia dei bersaglieri quando presero il capo dei briganti (o se vogliamo dei ribelli filo borbonici) Fernando Mittiga e gli mozzarono la testa. Sono passaggi storici difficili da dimenticare. Lo Stato (soprattutto il Nord) ha una lunga storia di responsabilità pesanti. Il libro scritto con Rizzo è pieno di queste cose».
Ad esempio?
«Ne cito uno: sui cinquanta consorzi che si fecero carico delle venti aree industriali costruite dopo il terremoto del 1980 in Irpinia e Basilicata, 47 di questi erano a totale dominio di aziende settentrionali. Il nostro libro non nasconde nulla, nemmeno i veleni delle aziende del Nord nella “terra dei fuochi”, o le stesse navi dei veleni sulle quali scrissero un libro molto interessante i tuoi conterranei Peppe Baldessarro e Manuela Iatì. Noi non facciamo sconti al Nord. Anche quella cosa detta quella sera a Sanremo, basta risentirla con attenzione per capire che secondo me il sindaco di Locri forse l’avrà sentita con un orecchio solo senza prendersi la briga di riascoltarla meglio su YouTube. Secondo me – prosegue Stella riferendosi a Calabrese – non ha capito niente. Io ho solo riportato una dichiarazione sacrosanta dell’ex vescovo di Locri che vale non solo per certe aree del Sud, ma anche per le periferie degradate di Roma, Milano o Torino, coi loro palazzi enormi e bruttissimi nei quali tirare su un figlio è difficilissimo. Secondo me il sindaco di Locri avrebbe dovuto ascoltare meglio e non fare quella sortita per motivi elettorali».
Ma guarda che Calabrese è stato eletto da meno di un anno, non credo che abbia interessi elettorali…
«Allora avrà voluto fare un regalo ai suo elettori, cavalcando l’umore popolare, ma questo non ha senso. Io ho solo nominato Locri per citare l’ex vescovo Bregantini. Non intendevo colpire la città o la sua comunità».
A proposito di Platì. Lo sai che se si fosse votato alle scorse amministrative, invece che prorogare il commissariamento del Comune uno dei candidati sindaci sarebbe stato l’ex magistrato e presidente del Centro Studi Lazzati Romano De Grazia? Loro sono giornalmente impegnati a diffondere la cultura della legalità oltre che a migliorare un testo di legge che vieta la propaganda elettorale da parte degli ‘ndranghetisti. Pensi sia meglio un Comune commissariato o con un sindaco democraticamente eletto come, ad esempio, De Grazia? Il concetto di legalità deve andare di pari passo con quello di democrazia?
«Chiedo scusa: non lo sapevo. L’Italia è grande e per quanto la batta a tappeto non posso aver contezza di tutto quello che succede. Mi fa piacere apprendere una notizia del genere. È la conferma che esiste una Calabria che non si piega alla ‘ndrangheta ma ha fatto una scelta in chiara antitesi. Sui commissariamenti degli Enti, secondo me ci sono casi in cui sono inevitabili, penso, ad esempio, a Fondi in provincia di Latina. Poi, se c’è un sindaco democraticamente eletto, tanto meglio, purché non abbia alcun legame con ambienti criminali e i loro giochi elettorali. E’ sempre meglio un cittadino eletto piuttosto che un commissario calato dall’alto, purché sia scevro, ripeto, da certi condizionamenti»
Quindi se t’invitassero i nostri rappresentanti istituzionali per mettere una pietra sopra rispetto alla polemica scaturita dalle dichiarazioni rese sul palco dell’Ariston, verresti?
«Se il sindaco di Locri mi chiede scusa per aver parlato troppo di getto sì. Ci mancherebbe! Lo dica: sono stato frettoloso. E la chiudiamo lì. Pietra sopra. In quel caso sarei disponibilissimo a discutere. Lo stesso Bregantini ha fatto un comunicato spiegando il vero senso delle sue parole. L’ha detto più volte e l’ha scritto in uno dei suoi libri. La bruttezza di un luogo, al Sud o al Nord che sia, ha il suo peso, perché se tu vivi in un posto bello, nel quale la bellezza ha un valore morale, è più facile crescere “belli”. Non è automatico, tant’è vero che esistono ragazzi straordinari che possono sbocciare a Scampia, Brancaccio o Africo Nuovo. Ma è più facile. Ed è più difficile crescere “diritti” in certe realtà di degrado, di miseria, di emarginazione, di immondizia. Le mafie hanno bisogno di strade malmesse e piene di voragini, di case senza intonaco, di posti abbandonati e avvelenati perché una realtà così fa sentire meno l’orrore della ‘ndrangheta, della mafia, della camorra. Io sto con monsignor Bregantini. E così molti calabresi, come Salvatore Settis, che forse ha un’idea della bellezza un po’ più colta di quella del sindaco di Locri… Ma questo lascialo perdere. Chiudiamola lì…».