di Gianluca Albanese
Una lettura consigliata a chi non intende rassegnarsi alla “Ipocrisia di chi sta sempre con la ragione, mai col torto” e al conformismo di chi pensa che l’antimafia si possa fare con una firma su un registro o con una sfilata eterodiretta. Sconsigliata, invece, a chi vuole insistere nel mostrarsi forte con i deboli e debole con i forti.
Già, “La ‘ndrangheta come alibi. Dal 1945 ad oggi” (2019, Città del Sole edizioni) di Ilario Ammendolia è un testo di resistenza politica e civile, nella stagione delle ruspe, dei porti chiusi, dei sovranismi e dei “leoni da tastiera” che imperversano nella cloaca dei social network.
Un saggio che non fa sconti, in primis alla ‘ndrangheta, ma specialmente alla parte politica in cui l’autore è cresciuto, ovvero quella Sinistra che nel secolo scorso stava coi braccianti vessati da uno Stato troppo spesso percepito solo come “Giudice e carabiniere” e in cui le riforme del ministro comunista Fausto Gullo avevano alimentato grandi aspettative di giustizia sociale. Quella sinistra, attenta ai bisogni degli ultimi e presente nei luoghi del disagio sociale, nel corso dei decenni si è persa inseguendo la scia del ciclone di “Mani pulite”, diventando frequentatrice di salotti e circoli sempre più esclusivi. La sinistra dei Violante, delle Finocchiaro, dei “girotondi” e dei leader con la toga (Grasso e Ingroia i casi più eclatanti) finisce nel mirino del saggio di Ammendolia, così come un’opinione pubblica troppo passiva rispetto al quadro fin troppo semplicistico in cui viene dipinta la nostra regione, dai resoconti degli inviati di punta della stampa nazionale, a film, libri e fiction televisive, in cui l’identificazione tra Calabria e ‘ndrangheta è pressoché totale.
Invece no. Il libro di Ammendolia porta a ragionare, partendo dalla conoscenza di fatti storici innegabili (la Repubblica Rossa di Caulonia, l’eccidio di Torre Melissa, l’operazione “Marzano”, la stagione dei sequestri e l’ascesa dei PM d’assalto) e concludendosi con un approfondimento su Riace e la vicenda giudiziaria dell’ex sindaco Mimmo Lucano.
L’autore dimostra come l’antimafia intesa solo come repressione non abbia prodotto frutti concreti (con le rarissime eccezioni) e come, piuttosto, abbia rinforzato la presenza criminale della ‘ndrangheta che nel tempo è passata da associazione di ribelli a strumento di conservazione dell’ordine costituito e holding criminale internazionale.
Un libro che chiunque può trovare utile leggere, purché lo si faccia con lo spirito scevro dai condizionamenti e dal conformismo dei simboli dell’antimafia “omologata”, dei tour guidati dei presidenti del consiglio nella Locride, degli acquirenti occasionali di una letteratura figlia di informative e ordinanze e fatta di volumi ostentati come prove di “pulizia” alle affollate presentazioni, fino ai prefetti premiati con le targhe nei concorsi di poesia.
“La ‘ndrangheta come alibi” può diventare uno strumento per un nuovo approccio all’antimafia vera, concreta, fatta di iniziative sociali come quelle del già citato Lucano e del vescovo Bregantini perché se è vero che il fenomeno criminale ‘ndranghetistico costituisce un freno enorme allo sviluppo della nostra terra, ridurre la Questione meridionale a mera questione criminale di certo non fa male alla criminalità organizzata. E nemmeno a quelle classi privilegiate che grazie alla ‘ndrangheta (e certa massoneria) hanno sempre mantenuto il proprio potere.
“La ‘ndrangheta come alibi” sarà presentato sabato 22 giugno alle ore 10,30 a palazzo Amaduri, dopo l’inaugurazione della rassegna culturale “Gioios…Arte” alla quale prenderà parte lo stesso Ammendolia.