Quando si parla di pandemia ormai si vedono spuntare ovunque trincee, fronti, nemici ed eroi: un lessico da primo conflitto mondiale. Tutto questo avrebbe poco senso se non fosse per il riferimento recondito di questa metafora che ben pochi colgono, distratti in genere dall’enfasi epica e commovente che tutto questo armamentario retorico suscitaMa procediamo per gradi. La pandemia e la guerra sono estremamente diverse: la prima non distrugge strade e porti, non rade al suolo le città e le installazioni militari, non colpisce gli stabilimenti produttivi ed i depositi di materie prime, infine miete le proprie vittime prevalentemente tra gli anziani. La guerra fa esattamente l’opposto. Potremmo grossolanamente dire che la guerra mobilita, la pandemia smobilita, rallenta, ferma quasi tutto.Non c’è molto altro da dire per far capire che siamo di fronte a un dramma; anzi a una tragedia di dimensioni globali, ma che in effetti è più assimilabile a una grande catastrofe naturale (al netto di ogni convinzione complottista…), che non a un fenomeno a carattere fondamentalmente sociopolitico, com’è ogni guerra. Allora l’accostamento della situazione attuale a uno scenario bellico non ha alcun senso? Da un certo punto di vista non ne ha alcuno. Si tratta di un puro nonsenso, allora? Neanche. Quando Mario Draghi nel suo ormai celebre articolo sul Financial Times si riferisce al primo conflitto mondiale lo fa con una ben precisa angolazione: gli strumenti finanziari che servirono per finanziarlo. Quello che avvenne nel 1914-1915 fu un vero capolavoro (scusate il cinismo…) politico-finanziario: al termine di un lungo periodo di sostanziale pace in Europa (1870-1914) e di un processo di globalizzazione colonialistica che aveva interconnesso a livello economico e finanziario i mercati di tutto il mondo, sia pure con i mezzi di trasporto e comunicazione del tempo, i governi riuscirono a far accettare ai propri parlamenti (e perfino alla maggior parte dei socialdemocratici e socialisti!) il lancio di massicci prestiti “di guerra” che non servivano a finanziare veramente la guerra, ma ad immobilizzare i risparmi con la prospettiva di buoni interessi, neutralizzando il pericolo di inflazione generato dalla massiccia emissione di moneta necessaria per finanziare il conflitto. Le varie borghesie nazionali caddero nella allucinata visione di opportunità di guadagno in occasione della più imponente distruzione di ricchezza reale e nella più larga falcidia di vite umane che la storia avessero fino ad allora prodotto. A parte pochissimi “fortunati” speculatori, l’illusione si rivelò per quel che era agli occhi di tutti: la guerra portò morte, povertà e instabilità politica praticamente ovunque. Cosa ha a che fare quindi la situazione di allora con quella di oggi? Semplice: se oggi si facesse la stessa cosa che fecero i governi di un secolo fa, cioè emettere prestiti a interesse garantito per dare interessanti opportunità di investimento sicuro ai risparmiatori e monetizzare (cioè finanziare con moneta fresca di conio) il deficit pubblico necessario non soltanto a sopportare le spese sanitarie, ma anche a dare cibo e vestimento ai disoccupati e a fare i necessari investimenti in costanza e a fine di pandemia, potremo mobilitare tutte le risorse umane e materiali e tutti i capitali reali disponibili, senza gravi rischi inflattivi e senza l’amara sorpresa di ritrovarci intorno un mondo distrutto, una volta scomparso l’entusiasmo. Piangeremmo ovviamente i nostri morti, ma potremo presto onorarne la memoria anche continuandone l’opera, laddove l’avessero lasciata a metà. Cosa ci impedisce oggi in Italia di fare una cosa del genere? L’assurda e arzigogolata architettura delle istituzioni dell’Unione Europea e in particolare dell’area Euro. La strategia di cui scriviamo sopra conta su due soli pilastri: il governo da un lato e la banca centrale dall’altro (che sia nazionale o europea non conta, purché siano adottate politiche totalmente differenziate a livello nazionale). Niente fondi salva-stati (MES), fondi di ricostruzione, accordi multilaterali e altre costruzioni fantapolitiche. Se quando si usa la metafora della guerra si pensa a questa strategia finanziarie, bene… Se, invece, si fa riferimento a eserciti e carri armati per le strade, avvertiamo tutti che per questa via le democrazie europee (e non solo) si scaveranno la fossa.
Turati e Ulianov