di Antonella Gimondo*
Le immagini di questi giorni sembrano confermare che la storia insegna ma non ha scolari (Gramsci, 1921): città rase al suolo, civili massacrati sotto le bombe, donne rapite e stuprate, milioni di sfollati, profughi deportati in Russia o nei territori filorussi del Donbass.
Le vicende che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni rendono evidente da un lato, come gli equilibri siano sempre destinati a esser messi in discussione e, dall’altro, come la storia sia immutabile a sé stessa e destinata a ripetersi, senza che da essa si sia in grado di imparare alcunché.
E gli strumenti tramite i quali il tutto si ripete ciclicamente sono due: le pandemie e le guerre.
Dopo quasi tre anni dalla diffusione del Covid -19, abbiamo imparato a conoscerlo e a conviverci. Abbiamo cambiato abitudini, messo in discussione stili di vita e conosciuto l’importanza sia del contatto sia della distanza.
Ma è possibile imparare a convivere con la guerra? È possibile abituarsi ad essa? E ancora, che insegnamento trarre dalle barbarie che ormai da un mese scorrono quotidianamente sotto i nostri occhi?
La guerra ha scosso la civiltà virtuale nella quale eravamo abituati a vivere, evidenziando come la conquista territoriale non rappresenti un’azione fuori dal tempo.
In un contesto geopolitico in cui i confini tra le Nazioni sembravano diventare evanescenti, il territorio torna ad affermarsi elemento capace di creare sovranità. La Russia rafforza i propri confini, anzi, si espande, assecondando la vocazione imperialista mai morta ma solo sopita con la perdita dei territori dell’URSS, con buona pace degli altri attori internazionali.
Questi ultimi, in particolare quelli a “vocazione democratica”, hanno dimostrato tutta la loro incapacità nella gestione diplomatica del conflitto e nell’aiuto alla resistenza ucraina, così evidenziando come sotto l’idea di democrazia occidentale, si celi una pace dettata da ragioni economiche.
Le ragioni dell’incapacità dell’Unione europea di imporsi come mediatrice (ammesso che una mediazione sia ancora possibile) sembrano derivare dalla dipendenza economica ed energetica dalla Russia che sembra aver reso gli Stati europei quasi completamente inermi (non fosse per il vano trotterellare di Macron).
È difficile proporre soluzioni in contesti così delicati in cui sono in gioco non solo equilibri internazionali ma soprattutto vite umane.
Tuttavia, i tentativi di una soluzione diplomatica del conflitto non hanno considerato gli elementi caratteristici della Russia: una nazione da sempre a vocazione imperialista, fortemente nazionalista, lontana dal concetto di democrazia e di riconoscimento dei diritti civili e di libertà coltivati dall’Occidente.
Una nazione il cui patriarca Kirill, Capo della Chiesa di Mosca e di tutte le Russie, giustifica l’aggressione e benedice la crociata considerato che “siamo un unico popolo uscito dal fonte battesimale di Kiev”.
Una nazione che combatte il nemico occidentale tramite un’operazione speciale contro l’anti-Russia che bussa ai propri confini e che propone un’alleanza con la Cina (altro gigante anti-democratico) come alternativa all’egemonia economica occidentale.
In un contesto simile, di aggressioni territoriali, morti, alleanze tra semi-autoritarismi, che futuro ci aspetta? Può dirsi ancora esistente il concetto di democrazia occidentale, ora che due delle più grandi potenze internazionali – Cina e Russia – sono costituite da regimi autoritari?
È questa forse l’occasione per riflettere sui rapporti tra tirannide e libertà, magistralmente colti da Ernst Junger nel Trattato del ribelle: “tirannide e libertà non possono essere considerate separatamente, anche se dal punto di vista temporale l’una succede all’altra. È giusto dire che la tirannide rimuove e annienta la libertà – anche se non si deve dimenticare che la tirannide diventa possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata e ormai ridotta a vuoto concetto”.
*: avvocato