*di Guido Leone
Sessanta anni veniva introdotta in Italia la scuola media unica, approvata con legge n. 1859 del 31 dicembre 1962.
Un traguardo importante certo, ma il clima che si respira nelle scuole (e non solo!) non è dei migliori.
La grave crisi economico-finanziaria sta avendo gravi ripercussioni specie sulla scuola.
Sessant’anni, però, sono un arco di tempo significativo per provare a fare un bilancio dell’esperienza della scuola media italiana le cui “vicende” storiche, istituzionali, culturali, pedagogiche e didattiche hanno finito per consolidare la sua immagine di “terra di mezzo” e mai parte integrata di un percorso unitario, armonico, continuativo dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado.
E quella della scuola non è solo una crisi di natura economico-finanziaria.
Ci sono due questioni aperte e mai chiuse in questi anni.
L’identità della scuola media e il suo raccordo con la scuola primaria (già scuola elementare) che la precede e la scuola secondaria di II grado (per anni denominata scuola “superiore”) quale esperienza non obbligatoria (almeno fino alla pubblicazione del DM 139/2007 (Il nuovo obbligo di istruzione che la seguiva).
La scuola media, terra di mezzo, è da molti anni, dunque, alla ricerca di una sua identità, attratta dalla scuola superiore (il piano alto della “secondaria”), ma poi richiamata alla comune appartenenza alla scuola di base (il c.d. “primo ciclo” dell’istruzione).
L’alternarsi di diverse denominazioni (scuola – di volta in volta – media, secondaria I grado, del primo ciclo, di base) rappresenta bene la non risolta ambiguità della sua secondarietà – di accesso ai saperi formali e al pensare per modelli – o di completamento della formazione primaria, quindi di consolidamento dell’alfabetizzazione strumentale.
Una scuola, insomma,che sembra non essere stata né carne né pesce.
La seconda questione è legata alla specifica età degli allievi che la frequentano (dagli 11 ai 14 anni).
La scuola media coglie i ragazzi in un momento particolarmente delicato del loro sviluppo, quello della pre-adolescenza, in cui a cruciali trasformazioni fisiche, emotive e cognitive si accompagna l’affermazione della propria personalità spesso in contrasto con le figure adulte.
Le sfide educative che pongono i pre-adolescenti sono ancora più difficili di quelli dell’età precedente e successiva.
Il quadro sulla scuola media che emerge dall’ultimo rapporto sulla scuola media in Italia della Fondazione Agnelli è veramente preoccupante: dall’età avanzata del corpo docente ai modelli didattici antiquati e basati su
una troppo rigida specializzazione per discipline; dalla prevalenza di lezioni frontali all’indebolimento della relazione affettiva per il moltiplicarsi delle figure di riferimento; dal rapporto scuola-famiglia, caratterizzato da tensioni crescenti a causa di un atteggiamento iperprotettivo verso i figli da parte di genitori sempre meno disposti a riconoscere l’autonomia dei docenti, a problemi di accoglienza e di integrazione dei ragazzi stranieri, all’età media dei docenti che va dai 58 ai 60 anni, mentre alle superiori è tra i 50 e i 60; alla discontinuità didattica, dovuta anche ad una quota superiore, rispetto al resto della scuola italiana, di docenti precari.
E poi i risultati complessivi degli allievi insoddisfacenti negli apprendimenti come testimoniano i confronti internazionali relativi alle conoscenze matematiche e scientifiche, spesso confermate dalle valutazioni a livello nazionale (Prove Invalsi),e che non sono in grado di reggere la sfida delle “competenze”, cui i 15enni,successivamente,sono chiamati dai severi test dell’Ocse-Pisa.
Il Rapporto della Fondazione Agnelli offre un quadro ancora più nitido di come e quando si manifestino le disuguaglianze sociali e i divari soprattutto territoriali, con effetti negativi sugli apprendimenti.
Le disuguaglianze dovute all’origine socio-culturale, misurate in base al titolo di studio dei genitori sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza in media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno studente i cui genitori hanno la licenza elementare.
Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono, alla fine del ciclo, a una differenza di quasi tre anni di scuola”.
Se al termine della primaria gli allievi nei diversi territori fanno registrare risultati simili, dopo i tre anni di scuola media il Sud resta molto attardato: 17 punti in meno per l’area che comprende (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia) e 27 punti in meno per l’area che comprende (Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia).
I divari territoriali, che la primaria riesce a contenere, nella scuola media esplodono, più che in passato, con significative criticità negli apprendimenti di base dei nostri preadolescenti imputabili anche all’organizzazione di questo segmento educativo, considerato l’anello debole della nostra scuola.
Ora le scuole medie del nostro Paese, per ragioni non propriamente pedagogiche, sono state assorbite nello loro interezza nel modello organizzativo noto come “istituto comprensivo”, in provincia di Reggio Calabria sono 36 le istituzioni scolastiche.
L’aver imposto la generalizzazione degli istituti comprensivi e l’avere poi elevato la soglia minima di alunni affinché una scuola possa disporre di autonomia funzionale e personalità giuridica cambia, nel bene e nel male, la geografia della scuola.
Ma mutano anche le condizioni per far pesare di più la variabile organizzativa per la messa a punto di approcci metodologici e didattici maggiormente aperti e dialoganti tra i diversi ambienti e livelli di istruzione, tra la scuola primaria da un lato e la scuola secondaria dall’altro.
Questo modo di procedere lascia perplessi: si generalizza un modello organizzativo, lo si impone come matrice dell’organizzazione della rete scolastica e come chiave di volta per mantenere in vita istituzioni scolastiche sul territorio, senza che vi sia stato alcun confronto o riflessione o analisi sui risultati finora conseguiti, là dove gli istituti comprensivi sono stati impiantati.
Eppure, a quasi venti anni di distanza, l’esperienza dei comprensivi avrebbe dovuto essere sufficiente per una valutazione approfondita, quanto meno per procedere con cognizione di causa e con motivazioni diverse rispetto a “ragioni meramente di cassa”.
Ma basta accampare ragioni di stabilità finanziaria, oggi come ieri, per stravolgere ogni cosa? Per fare nella scuola ciò che si vuole?
L’anniversario ci lascia delle domande irrisolte: oggi, in questo nuovo contesto istituzionale ha ancora un senso e una missione la scuola media? Ha, cioè, significato mantenere una scuola media nell’attuale impianto del sistema scolastico italiano, articolato nei due cicli di istruzione e, in caso affermativo, secondo quale identità e con quale struttura curricolare? La generalizzazione del sistema in istituti comprensivi quali effetti avrà sul miglioramento della didattica e degli esiti scolastici?
Dato che ancora non si conosce bene il valore, o il disvalore, della loro introduzione, né quali siano i loro punti di forza e di debolezza.
Se ad essi (dato che sono ormai diffusi da quasi due decenni) e in che misura, debba essere ricondotta la situazione di debolezza dell’attuale scuola media?
Bisognerebbe anche chiedersi in che misura l’attuale impianto ordinamentale (quadri orari, monte ore settimanale e annuale, insegnamenti, flessibilità curricolare, etc.) incida sul successo scolastico? E, ancora, l’attuale modello di governance corrisponde alle peculiarità e ai bisogni di tutte le componenti che operano in organizzazioni così complesse?
Le indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, avrebbero dovuto far fare un salto di qualità dalla vecchia scuola media alla unitarietà della scuola del primo ciclo, rafforzando gli obiettivi di apprendimento e per competenze dando un senso alla scelta organizzativa dell’istituto comprensivo di una educazione dell’allievo dai 3 ai 14 anni.
Un istituto comprensivo, dunque, per una scuola rinnovata.
E invece i risultati parlano d’altro, perché la scuola media da unica è restata unica, separata in casa in un comprensivo che non ha saputo divenire comprensivo, comprendere e comprendersi nonostante dieci anni di indicazioni nazionali.
La priorità degli apprendimenti è fondamentale più che mai nella scuola media.
Ripensare, perciò, la secondaria di I grado è dunque un’altra delle priorità che il nostro sistema d’istruzione deve affrontare con le risorse del PNRR, dopo che la pandemia, come abbiamo visto, ne ha messo in luce criticità antiche e gravi.
Il riscatto degli apprendimenti è allora ovviamente fondamentale nella scuola media, dove esplodono divari e disuguaglianze.
Le politiche di cui si parla nel PNRR vanno per forza declinate nel grado scolastico più in difficoltà: in particolare, l’orientamento, la formazione e il reclutamento dei docenti, la didattica, proprio le aree di intervento che abbiamo indicato.
Ci aspettiamo che questo governo dia qualche risposta a questi ed altri quesiti.
Ma tant’è la scuola come al solito può attendere.
*Già Dirigente tecnico U.S.R. Calabria