di Antonio Baldari
Sessant’anni.
Tanto passa oggi da quel 28 agosto 1963 in cui al Lincoln memorial di Washington, il pastore nero Martin Luther King pronuncia un discorso che all’epoca non si pensava potesse segnare la Storia più o meno recente.
Cosa che, invece, poi è stata, segnando quei giorni ed arrivando ad oggi come il discorso dell’ “I HAVE A DREAM”, Io ho un sogno, che era un sogno grande, immenso, sconfinato: che bianchi e neri potessero vivere insieme, con una certa serenità e rispetto.
Luther King partiva da sé stesso, dalla propria famiglia, “dai miei quattro figli piccoli che vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno, oggi!”, affermava con grande convinzione, credendo di poter convincere coloro che lo ascoltavano, e non erano pochi! In quel giorno King impresse un segno molto profondo nell’intimo di tutti gli americani, cittadini che più di ogni altri avevano “ospitato” la schiavitù dei neri.
E, tutto sommato, qualcosa cambiò a quelle latitudini, in quegli Stati Uniti d’America notoriamente multietnici giacché comprendenti un po’ tutte le razze, le lingue e finanche le religioni, ma a ben guardare, alla luce dei recenti fatti di cronaca sviluppatisi negli ultimi anni, sembra essere tornati a sessant’anni fa considerando che l’allora difficile rapporto tra bianchi e neri ancora oggi non è proprio del tutto sereno e connotato dal rispetto reciproco.
Anzi, ciò che sta accadendo a livello globale ci suggerisce un “sogno” mai avverato allargando il discorso a tutte le altre razze, lingue e religioni posto che non è soltanto una mera questione di colore della pelle ma anche e soprattutto di “genere umano”, di bianchi che non rispettano altri bianchi; di neri che non rispettano altri neri e via di questi colori, visti i tanti conflitti esistenti in tutti e cinque i continenti: dall’Europa all’Oceania, passando per l’Asia, l’Africa e lo stesso continente americano.
Citare la guerra in Ucraina sarebbe fin troppo facile ma si potrebbe allargare il discorso, ahinoi, al Sudan, al Pakistan, arrivando poi all’Afghanistan, al Myanmar ed allo Yemen passando per la Colombia ed il Messico per una sessantina di conflitti che vedono, in un senso più ampio, un mondo sempre più distante dall’Uomo, che viene relegato sempre più ai margini della vita vissuta, di ogni giorno, in cui il colore della pelle risulta essere soltanto un mero elemento di contorno, e poco più.