di Patrizia Massara Di Nallo
“ La straniera” racconta la storia di due anime ferite, anche se in modo diverso, dall’emigrazione approfondendo attraverso il loro vissuto tematiche talvolta sconvolgenti e offrendo al contempo vari spaccati della condizione dei migranti in terra straniera. Il protagonista maschile, integrato nella società dal punto di vista professionale, tanto da affermare Torino è “la mia città” perché non potrei definirla diversamente, in realtà vive una profonda solitudine interiore.
Da ostacolo alla sua integrazione psicologica è la nostalgia per la sua terra e i ricordi della sua infanzia e adolescenza trascorse in una società connotata da una naturale apertura e condivisione degli uni con gli altri Pareva che gi arabi avessero sostituito le tende del deserto con muri e soffitti di pietra, ma senza porte a cui fanno da contraltare le sue amare meditazioni sulla guerra dei sei giorni, sul panarabismo o sull’usurpazione ebrea.
La malinconia del protagonista e il conflitto interiore per il suo stesso complesso comportamento La lontananza e la nostalgia lo avevano piegato,ma non spezzato sono il climax su cui s’impernierà l’evoluzione tragica della sua esistenza. Parallelamente La straniera, anch’ella voce narrante e protagonista femminile del romanzo, finisce per apparire così agli altri e perfino a sé stessa per fuggire dal mondo e da me stessa e fin dalle prime pagine del libro sembra votata a pagare con il doloroso epilogo del suo destino gli errori suoi, della società di origine intrisa di superstizione e sottomissione femminile e di quella ospitante crudele e indifferente.
Rimane così ai margini della società fra gli invisibili, spacciatori senza permesso di soggiorno e prostitute, fino a pagarne le peggiori conseguenze. Mentre cerca di venir fuori dal buio dell’indifferenza sociale, la sembrano rigettare indietro persistenti fantasmi: la morte del fratellino di cui viene ingiustamente incolpata e di cui s’incolpa così come il tentativo di riscatto della propria dignità che la spinge ad affrontare la perigliosa traversata del Mediterraneo fino in Spagna. Giorni di traversie, quelli, in cui gli incubi si fondono con la realtà ed Amina, questo il nome della straniera, mangia erba per sopravvivere. Un racconto a due voci, una sceneggiatura vera e propria con alternate prospettive che, per la duttile capacità prosastica dell’Autore, si interfacciano e si rispondono anche a distanza dello spazio letterario.
Così rimbalzano e si intrecciano le vicende e i ricordi dei due protagonisti fino al punto in cui, per magia narrativa, le medesime situazioni si colorano ora dei sentimenti e considerazioni dell’uno, ora dell’altra. Lo stesso quadro, quindi, si sdoppia prendendo vita da luci contrastanti e anime diverse prestando ascolto a fustiganti ricordi ora più severamente e caparbiamente nostalgici ora più confusi e crudi, ma quasi sempre è sottesa un’unica voce dolorante e rauca in un ritmo stilistico serrato che come un fiume in piena incalza il lettore. Sovente lo stile, a voler rimarcare un sentimento o uno stato d’animo, si tuffa in versi poetici dalla musicalità tipicamente orientale, quasi reiterati ritornelli, cantilene tristi e struggenti di amori perduti dove natura e amore si fondono e si confondono.
L’A. non smette mai di sorprenderti quando all’improvviso rivela in immagini oniriche, pause ristoratrici fra i capitoli, la sua capacità artistica di vedere oltre il visibile figurandoti persino acrobazie di uccelli che trascinano con sé i colori del paesaggio. Ricordi e continui rimandi, connotati ora da accenti struggenti ora da fantasia, imprimono uno stile circolare al racconto La mia terra è di specchi/che in ogni specchio c’è un volto./In ogni eco c’è una voce, /una voce d’immagini a pezzi mentre le esistenze dei due protagonisti viaggiano su binari Viaggio con lei nel mondo delle parole, delle vicende,dei profumi,degli odori, dei ricordi, e di tanta sofferenza destinati a incrociarsi solo quando ormai è troppo tardi, quando all’improvviso i versi La mia speranza era di vedermi spuntare le ali al posto delle mani, per poter volare via come gli uccelli diventano presagio del tragico epilogo.