In un convegno di qualche anno fa alla Biblioteca Comunale di Brancaleone, alla presenza di Pasquino Crupi e dell’onorevole Saverio Zavettieri, azzardai un intervento un po’ demagogico, ma che trovava una sua fondata giustificazione nei fatti che all’indomani dell’omicidio Fortugno venivano riportate dalle cronache giornalistiche di molti quotidiani locali. Un rosario di sindaci faceva anticamera in Piazza Italia per essere ricevuti dal super Prefetto De Sena e sostanzialmente le istanze che venivano destinate al Prefetto altro non erano che richieste per l’evasione di pratiche attinenti al loro esercizio istituzionale incagliate nelle maglie farraginose della burocrazia.
Questo accadeva per tutti i primi cittadini che avevano a cuore le sorti delle loro comunità. Un altro rosario interminabile, di giovani faceva anticamera presso l’Episcopio di Locri per essere ricevuti da sua Eccellenza Bregantini. Motivo di queste visite era la ricerca di un lavoro. Avendo fotografato questo stato di cose mi sono sbilanciato in una valutazione: le assemblee costituite nei vari comuni democraticamente elette, e quindi i rappresentanti istituzionali, che di queste comunità ne assumevano la responsabilità, non riuscivano con i propri strumenti che la legge ad essi concede, di risolvere nulla di quanto ciò era di pertinenza alle loro competenze. Ne la costruzione di una strada, ne la collocazione di un posto di lavoro potevano essere istanze legittime, risolte dall’azione politica e quindi i centri di “potere” venivano individuati o nella massima autorità dello Stato che risiede nel palazzo di Governo nel capoluogo di Provincia, oppure dal prelato insediato nella diocesi. Io definii allora, questo stato di cose come un fenomeno di democrazia sospesa. Non ho mai preteso diritti di prima genitura o di paternità in merito a questa riflessione, m i convegnisti e soprattutto i relatori nel proseguo del dibattito mi diedero ampiamente ragione. Qualche lustro prima, all’indomani di mani pulite, in un altro dibattito in cui i relatori erano il senatore Contestabile di Forza Italia e il presidente della commissione bicamerale stragi, onorevole Pellegrino, registrai un’affermazione che forse pochi amministratori e comunque solo quelli, colsero. L’affermazione era la seguente: «tra qualche anno e di questo andazzo, per scavare una buca e mettere a posto una condotta fognaria, con un intervento urgente potrebbe far incappare un sindaco in un avviso di garanzia, considerata la giungla normativa in cui questo deve districarsi per porre rimedio a una situazione di disagio in cui i cittadini si possono trovare». E infatti il pericolo che ogni azione amministrativa possa anche per una disattenzione contravvenire una legge, una norma, o una circolare ministeriale, è un pericolo quotidiano, per sindaci, assessori, capi area e qualunque individuo sia elevato a una magistratura pubblica. Eppure, opere pubbliche di importanza strategica come la variante 106, sono diventate oggetto di contenziosi di fronte ai tribunali amministrativi dello Stato. Tra tutti i poteri dello Stato costituzionalmente riconosciuti, non si capisce chi debba o possa intervenire per offrire un’opportuna e normale definizione. È evidente che quanto preconizzato da Giovanni Pellegrino in quella sua affermazione è quanto di più profetico si sia mai potuto effettivamente realizzare. I corto circuiti istituzionali sono la causa maggiore che impediscono il normale sviluppo di una comunità, di un comprensorio, di una provincia, di una regione. Non se ne viene a capo, per di più le capacità negoziali di un sindaco o di qualsiasi altro rappresentante istituzionale ai vari livelli sono fortemente ridimensionati e ogni decisione viene o per vacatio legis o per mancanza di responsabilità soggettiva demandata al giudice ordinario. Per questo quell’affermazione demagogica di democrazia sospesa altro non era che una tragica considerazione conseguente alla incapacità politica di agire e soprattutto di decidere.
PASQUALE VOZZO