di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte web)
CALABRIA – Una delle arti identitarie e storiche del popolo calabrese è quella della tessitura, che faceva parte della cultura dell’Enotria già dal XV secolo a.C., tantochè nella zona della piana di Sibari, e precisamente a Timpone della Motta, è stata scoperta la cosiddetta“Casa delle Tessitrici”, abitazione legata ad eventi rituali e cerimoniali della tessitura. Nel cortile del sito archeologico, infatti, sono stati trovati fuseruole, grandi pesi pertinenti ad un telaio monumentale ed ad altri oggetti di ornamento, in bronzo, utilizzati dalle tessitrici.
Le artigiane calabresi utilizzavano i telai manuali per creare tessuti sia per uso domestico che per il corredo nuziale e, con il passare dei secoli, quest’arte ha subito l’influenza di diverse culture, come quella araba e bizantina, arricchendosi sia di tecniche nuove che di motivi decorativi sempre più complessi e perfezionati. L’importanza che la tessitura rivestiva in Calabria si evince dall’antica usanza del fidanzato di costruire e regalare alla sua futura sposa il telaio, affinché facesse parte della dote nuziale di quest’ultima e a questo strumento era riservato in ogni casa uno spazio, addirittura un’intera stanza nelle residenze più signorili. Il corredo era quindi realizzato al telaio dalle madre e dalle figlie e i principali filati utilizzati erano del territorio stesso: la lana ottenuta dall’allevamento locale delle pecore, la seta dal diffuso allevamento del baco da seta (“a notricata”), il lino dalla coltivazione della pianta di lino e la ginestra dalle piante spontanee di ginestra. Questi filati venivano tinteggiati con diversi colori naturali, ottenuti mediante l’utilizzo di infusi preparati con piante, radici, fiori e frutti sempre della nostra terra. Il lavoro quindi si articolava in varie fasi che andavano dalla raccolta delle piante alla lavorazione delle fibre vegetali fino al confezionamento dei manufatti.
Nell’antica area della Magna Grecia, nel versante ionico reggino, precisamente a Gerace, è praticata ancora oggi la tessitura dei filati di ginestra e i disegni dei manufatti sono per lo più di origine greca e bizantina con simboli geometrici o floreali che assumono significati di buon auspicio augurando, per esempio, fertilità alle spose o abbondanza nei raccolti. I prodotti sono realizzati dalle majstre, depositarie dei segreti del mestiere tramandato oralmente di generazione in generazione. In passato si avviò la piantagione della ginestra sui piani di Bova e la produzione è tutt’oggi fiorente anche nell’area aspromontana in prossimità della Locride, in particolare a Pardesca ( frazione del comune di Bianco), ma è possibile ammirare i manufatti in tutti i centri delle vallate.
Delle tre principali tecniche calabresi impiegate per la tessitura, quella a “licci” serve a realizzare trame più semplici adatte per lenzuola, asciugamani e biancheria per la casa: tutto viene decorato con disegni ottenuti attraverso particolari intrecci realizzati con la pedalatura, tanto che i tessuti così lavorati venivano definiti “alli piadi” (ai piedi) o “cun li piadi” (con i piedi) e tra i motivi più ricorrenti vi sono: Rosa e Spagna, Rosa Spampinata, Rota e u carru, Pinna e Pavone. Un’altra tecnica, più complessa della prima, è la “Trappigna” che produce un broccato spolinato adatto principalmente ad arazzi e coperte nuziali: sopra un tessuto di fondo si inseriscono trame supplementari per creare disegni sempre di evidente influenza araba e bizantina. La terza tecnica, detta “a Pizzulune”, serve ad ottenere tessuti a rilievo. Il retaggio della cultura cristiana è comunque palese sia nella ritualità che accompagna la tessitura, sia nei simboli delle decorazioni: la croce greca, per esempio, è quasi sempre presente sia semplice che frammista ad altri simboli o anche non molto evidente, ma rintracciabile all’interno di altre forme geometriche.
A Longobucco (CS) si possono ammirare soprattutto le coperte, dalle più semplici a quelle con più colori e disegni. Una coperta si compone di cinque disegni concentrici: al centro c’è “u sìattu”,cioè il disegno di fondo, e poi ci sono anche“u parafilu”, “a guardiédda”,“a greca” e infine “u pizzìattu”. Il tessuto viene rifinito con la “francia”realizzata a mano e al telaio. Le diverse lavorazioni sonoanch’esse : a rilievo a “pizzulùni”, piatta a “trappìgnu” e con i piedi “ari pìari”. La particolarità della produzione longobucchese consiste nel fatto che, oltre alla trama ed all’ordito, viene immesso un terzo filo che attraversa i fili dell’ordito orizzontalmente cosicché il motivo del tessuto non è un ricamo vero e proprio, ma fa parte del tessuto stesso. Le tessitrici utilizzano modelli, detti “nziambri”, custoditi gelosamente e, addirittura, alcuni dei quali circondati da leggende. Infatti,intorno ad uno dei disegni più noti, “U puntu eru Juriciu” (Il punto del giudice), costituito da una bilancia a sua volta formata da una sega, un albero, due rami di vite e due colombe, è stata tramandata la leggenda secondo cui sarebbe stata una donna di Longobucco ad idearlo per omaggio nei confronti di un giudice che aveva reso giustizia al figlio. Secondo l’antica simbologia, la sega è il taglio della giustizia, l’albero è la vita, i rami di vite sono la gioia, la bilancia è la giustizia e le colombe sono la pace. Inoltre il tipico “tessuto di Longobucco” deve rispondere a precipui disciplinari di produzione: tradizionale lavorazione dei filati con telaio orizzontale, tipici modelli di decorazione locali che traggono ispirazione dalla natura e dalla simbologia (foresta, arco delle stelle, punto del giudice), tipologia dei manufatti prodotti (arazzi, tappeti, coperte, biancheria) e filati usati (lana, cotone,ginestra, lino, seta, canapa).
(Abiti femminili calabresi-stampe da Costumi Popolari di Calabria- Raccolta Zerbi)
Altri tradizionali e molto diffusi prodotti di vari centri calabresi sono: il vancale e l’arazzo. Il vancale è la tipica stola calabrese indossata sui costumi tradizionali (quello della “pacchiana”, per esempio, è utilizzato dalle donne per ballare la tarantella) ed anche al giorno d’oggi serve come decoro ornamentale per coprire le panche delle abitazioni (infatti il termine vancale deriva da “vanca”, ossia la panca dove solitamente si custodiva la biancheria). Ogni vancale, in lana o in seta, per la cui realizzazione occorrono dalle dieci alle dodici ore di lavoro, riporta fasciature trasversali multicolori intramezzate da oro o argento su uno sfondo bianco o nero, può essere largo quasi due metri e terminare con lunghe frange.
Anche l’arazzo anticamente serviva a ricoprire i bauli e le cassapanche contenenti la biancheria e al contempo rappresentava uno status symbol ante litteram. Infatti, più il disegno era ricco di forme e geometrie policrome e maggiore era il livello sociale della famiglia che lo sfoggiava. L’arazzo, inoltre, era il tessuto da cui erano costituite le bisacce dei contadini e dei pastori e, anche in questo caso, quelle più riccamente decorate venivano indossate in occasione delle feste.
Tra i centri tessili oggi in attività ricordiamo anche Riace (RC) e San Giovanni in Fiore (CS). A Riace, in occasione della “Festa della ginestra”, è possibile partecipare alle fasi di lavorazione dei fasci di ginestra (la raccolta,la bollitura, la macerazione, la battitura e la cardatura) da cui poi si estrae il filo necessario alla tessitura. A San Giovanni in Fiore, invece, si realizzano tappeti e coperte di origine greco-orientale, arazzi dalla tematica religiosa o, addirittura, riproducenti fedelmente testi manoscritti della tradizione medievale oppure, in tempi recenti, arazzi moderni con soggetti ispirati alla pop art.Tra le località, in cui è possibile approfondire la conoscenza della storia dell’arte tessile regionale c’è Tiriolo (CZ) dove si possono ammirare ancora oggi vancali ricamati a tombolo, Catanzaro dove si può visitare il Museo dell’Arte della Seta, Longobucco (CS) dove si può fare visita alla Mostra Permanente Artigianato e Antichi mestieri, San Demetrio Corone (CS) dove si trova il Museo Etnografico della Tessitura, che conserva una collezione di telai manuali e di manufatti tessili provenienti da diverse zone della Calabria e Cosenza, dove presso il MAM, Museo della Arti e dei Mestieri, si possono anche ammirare opere realizzate dai maestri artigiani locali.
Anche i costumi tradizionali, trapunti d’oro e d’argento, delle donne di Firmo, Lungro e Spezzano Albanese, sono tutte espressioni di un artigianato Made in Calabria di altissima qualità, degno di essere conosciuto più diffusamente per il suo peculiare valore artistico e i cui centri produttivi di essere inglobati, quale tappe preziose, negli iter turistici nazionali ed internazionali.