di Gianluca Albanese
ROCCELLA IONICA – Vengono da lontano e vogliono andare ancora lontano. Sono i Comunisti di tutti i paesi che, in vista del congresso politico fondativo del nuovo Pci in programma dal 24 al 26 giugno, decidono i dare un calcio alle divisioni e alle balcanizzazioni del passato anche recente e si propongono il fine di riunire tutti i compagni sotto un unico simbolo: quello classico della falce e martello, all’interno dell’altrettanto classica bandiera rossa.
Questo pomeriggio, la sala piccola dell’ex convento dei Minimi di Roccella Ionica era piena di vecchi e nuovi comunisti, tutti pronti a ridiscutere e azzerare le cariche occupate nelle precedenti sigle (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani ecc.) e a contribuire alla costruzione di un nuovo soggetto partitico capace di ridare una significativa presenza comunista nel panorama politico nazionale, magari pescando tra i numerosissimi cittadini che non votano più o tra chi si è “rifugiato” nel movimento 5Stelle.
Certo, l’effetto-rimpatriata non è mancato, vedendo sedere insieme i compagni di un passato recente in cui il simbolo era uguale ma le sigle erano diverse: dall’ex assessore regionale Michelangelo Tripodi all’ex assessore provinciale Pino Mazzaferro, passando per Salvatore Scali, il nutrito gruppo sidernese (Damocle Argirò, Totò Sgambelluri, Totò Taccone, Sandro Siciliano e Michele Caccamo), quello africese (in primis Peppe Morabito e Francesco Priolo) e tanti altri. Tutti lì a ribadire «La necessità di una presenza comunista capace di arginare una deriva neoliberista che da Berlusconi a Renzi sta erodendo sempre di più diritti e conquisti della classe lavoratrice», stando al tenore di molti degli interventi che si sono registrati.
Nel lungo dibattito introdotto da Lorenzo Fascì, molti sono stati gli interventi di un certo peso, anche di giovani, come quello di Alessandra Mallamo, animatrice insieme ad Angelo Nizza e Salvatore Scali della locale scuola di filosofia, che ha parlato, come tanti altri di «Necessità di superare e sconfiggere il sistema capitalista».
Articolato l’intervento di Nicola Limoncino, segretario provinciale uscente di Rifondazione Comunista che si è detto «Pronto ad abbracciare questo nuovo progetto politico da semplice militante» «Perché il partito che stiamo facendo – ha detto Limoncino – deve riacquistare una credibilità che molti nostri dirigenti del passato gli avevano fatto perdere, almeno in Rifondazione. Nel recupero della fedeltà al pensiero di Gramsci, Lenin e Marx – ha proseguito – dobbiamo superare il capitalismo e non lasciarci ingabbiare da calcoli da legge elettorale, e la madre di tutte le battaglie è la lotta alle controriforme di Renzi, che vorrebbe un Senato asservito al Pd, puntando altresì alla moralizzazione del Paese».
Francesco Priolo ha avvertito l’esigenza di far parte di questa fase costituente del nuovo Pci «Per tenere accesa la fiammella di speranza del cambiamento di una società dominata dai poteri forti economicamente, che condizionano anche i movimenti di protesta nel mondo arabo, spegnendo la primavera degli anni passati e creando ondate di migranti».
Particolarmente atteso l’intervento di Michelangelo Tripodi, che ha ribadito «L’orgoglio di essere comunisti, pur facendo ammenda rispetto agli errori e alle sconfitte del passato. Da quando non c’è più il Pci – ha aggiunto – tutte le conquiste del mondo del lavoro (che noi e solo noi dobbiamo e possiamo rappresentare) sono andate a rotoli, vedi lo stesso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che non è stato difeso nemmeno dai sindacati».
Non manca uno sguardo a Sinistra Italiana: «Non disdegnerei ipotesi di alleanze, a una condizione però: noi – ha chiarito Tripodi – siamo alternativi al Pd e dobbiamo essere il partito del lavoro e porci degli obiettivi concreti come il recupero della funzione pubblica della scuola e l’abolizione dei ticket sanitari».
Critico Salvatore Scali. Il docente di filosofia, infatti, ha invitato i comunisti a non finire preda delle ambiguità di chi predica l’uscita dal capitalismo in pubblico ma razzola da capitalista in privato.
«Ho letto – ha detto il professore – che nello statuto del costituendo partito è previsto il versamento dell’indennità di ogni eletto pari al 20% in luogo del consueto versamento del 50%: che facciamo? Gli sconti? Chi si fa eleggere per “sistemarsi” per qualche anno – ha detto ancora Scali – non ragiona da comunista, ma da capitalista. Il comunismo è un elemento di liberazione personale e un’idea di vita che va al di là dello scambio di beni e servizi, proponendosi il dono e la gratuità».
Lo stesso Scali, pur preannunciando il proprio impegno come elettore, ha altresì chiarito che non s’iscriverà al Pci «Perché – ha detto – quello che finora ho letto non mi convince».
Osservazioni critiche, quelle di Scali, che sono state tenute nella debita considerazione da Lorenzo Fascì nelle sue conclusioni, con l’avvocato reggino che ha indicato nella battaglia referendaria contro il sistema elettorale noto come “Italicum” e nella necessità di un nuovo impegno militante «Capace – ha detto – di fare da cinghia di trasmissione tra partito e società» le priorità immediate del nuovo soggetto politico.
«La storia non finisce qua – ha detto Fascì – la storia inizia da stasera solo se ci impegniamo tutti insieme per il nostro ideale».
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