di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte Wikipedia)
In un’intervista alla Radiotelevisione svizzera, rispondendo alle domande del giornalista Lorenzo Buccella, Papa Francesco ha denunciato le responsabilità di chi alimenta il conflitto in Medio Oriente dove “non c’è solo la guerra militare, c’è la guerra-guerrigliera, diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito”. Per essere aggiornato sul conflitto il Papa chiama la parrocchia di Gaza ogni sera alle sette.
«Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra».… La situazione, già esplosiva, si è , a dir poco, esacerbata dopo l’attacco di Hamas e la risposta dell’esercito israeliano. Ora si devono risolvere due problemi: la liberazione degli ostaggi israeliani e la protezione della vita degli innocenti a Gaza. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9) Viene domandato al Pontefice del coraggio della bandiera bianca, della resa e il Papa risponde che «è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».
E aggiunge di aver inviato «una lettera agli ebrei di Israele per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto …».E ricordiamo che il Papa il 25 marzo 2022 ha “voluto consacrare al Cuore immacolato di Maria la Chiesa e il mondo intero, specialmente l’Ucraina e la Russia. Continua con la denuncia della guerra come «peccato collettivo» alimentato dalla fabbrica delle armi dove «si guadagna per uccidere».
«C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci … E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».
Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha precisato che: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il Papa ha affermato chiaramente: “il negoziato non è mai una resa”. L’auspicio del Papa resta quello sempre ripetuto in questi anni, e ripetuto recentemente in occasione del secondo anniversario del conflitto: “Mentre rinnovo il mio vivissimo affetto al martoriato popolo ucraino e prego per tutti, in particolare per le numerosissime vittime innocenti, supplico che si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”».
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky , senza nominare in maniera esplicita Papa Francesco, ha detto: “La bandiera dell’Ucraina è gialla e blu”….”la chiesa è in prima linea accanto alle persone” e “la mediazione virtuale a 2500 km. da Kiev non serve”. Si è fatto sentire anche un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa che ,a proposito delle dichiarazioni del Papa, ha detto all’ANSA ( Agenzia Nazionale Stampa Associata): “Il presidente Biden ha grande rispetto per Papa Francesco e si unisce a lui nelle preghiere per la pace in Ucraina che potrebbe essere raggiunta se la Russia decidesse di mettere fine a questa guerra ingiusta e non provocata e ritirasse le sue truppe dal territorio sovrano dell’Ucraina” e ha aggiunto “Sfortunatamente continuiamo a non vedere alcun segno che Mosca voglia mettere fine a questa guerra e per questo siamo impegnati a sostenere Kiev nella sua difesa contro l’aggressione russa”.
E come poteva mancare la voce dell’Europa! Il portavoce dell’Ue per la Politica estera, Peter Stano, ha dichiarato; “La pace si trova nelle mani di un solo uomo. Il suo nome è Vladimir Putin, che ha lanciato la guerra e la porta avanti ogni giorno. Siamo ovviamente a favore della pace. Una pace che sia giusta e secondo le condizioni della vittima di questa guerra che è l’Ucraina”.
Allora il pensiero vola alla crisi dei missili nucleari del 1962. Come non ricordare il concreto rischio di una guerra nucleare tra i soliti due attori protagonisti e in particolare tra Kennedy e Kruscev. Determinante allora, per disinnescare le armi e soprattutto gli animi, fu l’intervento di Papa Giovanni XXIII, proprio mentre si stava aprendo in San Pietro il Concilio Vaticano II. “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità” aveva detto John F. Kennedy nel messaggio all’ONU dell’anno prima. Il Pontefice, sollecitato proprio dal presidente cattolico Kennedy, pregò per il “bene supremo della pace” e fece un appello a coloro che hanno la responsabilità del potere:“Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!” tanto che Kruscev ascoltò e ringraziò il Papa. Fu proprio in conseguenza di quell’episodio che venne istituito il famoso “telefono rosso”, che metteva direttamente in contatto il Cremlino e la Casa Bianca.
Nel 2000 furono aperti gli archivi sovietici dai quali si evinceva incontrovertibilmente come fosse stato proprio Papa Giovanni a favorire il cambio di atteggiamento di Mosca, in conseguenza del quale l’Unione sovietica smantellò le basi a Cuba e gli Stati Uniti eliminarono i loro missili nucleari in Italia e in Turchia. Quando nel 1989 cadde il muro di Berlino, il mondo, illudendosi, pensò che la contrapposizione fra Unione Sovietica e Stati Uniti, che aveva tenuto a tutti con il fiato sospeso, si fosse dissolta e che la pace si sarebbe addirittura trasformata in cooperazione. Dopo sessant’anni, al centro delle preoccupazioni dell’intera comunità internazionale, c’è nuovamente il pericolo di un’escalation bellica.
Il cardinale Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, a proposito della guerra in Ucraina ha dichiarato ai media vaticani: “La Santa Sede è pronta a qualsiasi mediazione necessaria, come sempre. Intanto cerca di parlare con le istanze i cui canali sono già aperti”. E Papa Francesco ha affidato al cardinale Matteo Zuppi l’incarico principe di allentare la tensione tra Russia e Ucraina e a questo scopo numerosi sono stati i viaggi diplomatici del cardinale per mediare tra i due Paesi in guerra. Chi meglio di lui? Infatti nel 1990 il cardinale svolse il ruolo di mediatore nelle trattative tra il governo del Mozambico e il partito di Resistenza Nazionale Mozambicana, fra i quali dal 1975 si protraeva una guerra civile.
Dopo ventisette mesi di trattative, si arrivò alla firma degli accordi di pace di Roma che sancirono la fine delle ostilità. E oggi il cardinale Zuppi ha dichiarato: «Quella di tracciare dei confini chiari è una tentazione dalla quale il Papa ci mette in guardia», per cui non possiamo fare a meno «di parlare con tutti e ascoltare tutti».
Ma tutti chi? Da una parte ci sono l’aiuto chiesto per arginare il nemico da una nazione attaccata e vittima insieme con le irremovibili ragioni di mantenere il territorio integro anche a scapito della perdita di vite umane. Dall’altra parte svettano le ragioni imperialistiche ed economiche per il possesso di lingue di terra ricche di risorse naturali con l’ininfluente contrappeso di vite perse. Al centro del dibattito campeggiano, quale verità assodate, le mire espansionistiche della Russia e l’avanzamento verso l’Europa tanto più paventato quanto più serve a giustificare le spese militari degli Stati e, in questa prospettiva, le pseudo-motivazioni della Nato che prevede un conflitto ai propri confini. Non ci siamo neanche fatti mancare, per colorire la già tragica commedia umana, il codazzo dei paesi europei che agiscono con dichiarata unanimità di intenti, ma, pensate un po’, con iniziative indipendenti ( e si sa che la divisione rende deboli agli occhi degli altri). Infine un coup de théâtre per alimentare l’idea della grandeur francese (ne sentivamo la mancanza): le dichiarazioni di Macron che ha pensato bene di gettare benzina sul fuoco proponendo di inviare in futuro soldati europei in Ucraina. A latere, in un margine tutt’altro che marginale sulle sorti del già biennale conflitto, campeggia la Cina, dai pericolosi giochi strategici non facilmente decifrabili in base ad altalenanti priorità: detenzione di ingenti interessi economici intrattenuti con l’Europa e interessi politici nell’indebolimento dell’Europa stessa. Sottotraccia, infine, le losche trame ordite dalle lobby delle armi e, acer in fundo, il fantasma dell’ONU in cui tutti parlano e pochi decidono o purtroppo non decidono (da qui la progressiva ininfluenza del solo organismo internazionale nato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprio per derimere in un consesso civile le eventuali controversie tra gli Stati). “La guerra è la forma collettiva e violenta della conversazione” (drammaturgo Alexandre Arnoux) Una torre di Babele in cui nessuno vuole ascoltare l’altro e tantomeno cedere, ma in cui si coglie al volo l’occasione per interpretare a proprio vantaggio anche le parole di un Uomo di pace come Papa Francesco, invece di cogliere un’opportunità di apertura al dialogo che viene, sì da lontano geograficamente, ma che è vicinissima spiritualmente.
Il mondo, quindi, continua a camminare, come la dispettosa mula di don Abbondio, in precario equilibrio sull’orlo di un precipizio. Più a Est, affacciato sul Mare Nostrum ( vale a dire ad un tiro di schioppo dall’Europa) il conflitto ormai secolare israelo-palestinese che è diventato (in effetti lo è sempre stato) arabo- israeliano e rischia di far divampare una vera e propria guerra di religione, le cui avanguardie sono state negli scorsi anni gli attentati messi in atto da organizzazioni terroristiche sia in Europa che negli Stati Uniti. In questo caso la prima vittima, Israele, ha reagito contro la Palestina indiscriminatamente contro tutti, terroristi e civili, sollevando un’ internazionale indignazione popolare che, figurandosi un genocidio del popolo palestinese, urla sommessa senza, però, sortire effettivi riscontri politici sulle decisioni israeliane mentre i civili palestinesi continuano a morire di fame, sete e stenti oltre che di bombe perché “Tutti i popoli sono per la pace, nessun governo lo è” (scrittore Paul Lèautaud). Gli Usa, mentre continuano a fornire armi ad Israele, progettano di costruire un ponte galleggiante per sfamare Gaza (ammetto che qualcosa mi sfugge!!!). L’Europa segue apaticamente le decisioni d’Oltreoceano, senza neanche tentare di intavolare iniziative per la pace rivelando, al contempo, una forte incoerenza con la politica filo-araba condotta finora. ( Ah, dimenticavo gli imperativi interessi per le forniture energetiche!). “Non ci sono mai state una buona guerra o una cattiva pace” (Benjamin Franklin). Per dirla in breve, due popoli rivendicano lo stesso territorio come patria storica di ognuno e le soluzioni che vengono sempre riproposte a livello politico-diplomatico sono: la coesistenza dei due Stati o l’organizzazione della Palestina in una Regione o Provincia autonoma dal punto di vista amministrativo con un proprio statuto giuridico e un proprio parlamento. Speriamo che prossimamente ci sia lavoro per la diplomazia e il buon senso… Recita un proverbio italiano “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, perché occorre voglia di pace ad ogni costo per ottenere la pace a qualsiasi costo.