di Gianluca Albanese (foto unita.tv)
PLATI’ – Lo scriviamo in premessa: non ci uniremo al coro di chi, in queste ore, sta infierendo sulla Leonardi dopo il ritiro della sua candidatura a sindaco di Platì. Primo, perché si è già fatta fin troppo male da sola, dilapidando in un paio di giorni il patrimonio di credibilità costruito in un anno di attività pre-elettorale; secondo, perché le riconosciamo – ancora, e nonostante tutto – il merito di aver comunque riaperto un dibattito in una comunità cittadina scottata da troppe delusioni passate, e di aver contribuito a riaccendere l’orgoglio di appartenenza di quelli che saranno i candidati al ruolo di amministratori a Platì.
Il suo fallimento, però, perché di fallimento si tratta, non è riferibile alla sola persona di Anna Rita Leonardi, ma a un modello, a un metodo, a un modo di fare politica (o pseudo politica) che dall’era di Berlusconi a quella di Renzi ha mortificato le sezioni di partito, il valore della militanza, la passione, i sacrifici, il sudore, il rispetto dei ruoli, privilegiando le scorciatoie mediatiche, le ribalte televisive, la spettacolarizzazione della politica che è diventata estetica più che etica, immagine più che contenuto, programmi televisivi più che proposte amministrative.
E’ la logica perversa dei reality show. Che esalta quei cinque minuti di notorietà già preconizzati da Andy Wharol, che chi ce li ha cerca di sfruttarli al massimo. Può andare bene se il talento ce l’hai davvero e hai un po’ di fortuna, come per l’attore Luca Argentero o l’esercito di cantanti come Emma & Co.
Altrimenti, sei solo una comparsa di cui in futuro non si avrà più memoria.
Non è bastato, infatti, l’endorsement del “masterchef” Matteo Renzi alla Leopolda dello scorso dicembre; non sono bastati i lunghi mesi trascorsi a Platì con lo spirito di chi si cimenta con l’Isola dei famosi, non sono state sufficienti le testimonianze (quasi sempre da parte di organi di stampa e soggetti comunque distanti da Platì e dalle sue annose problematiche) di chi giurava che la giovane reggina avesse, nel suo campo, l’X Factor.
No, perché il “dottore” del gioco dei pacchi, in questa vicenda, ha assunto le sembianze, via via della segreteria nazionale del Pd, della federazione regionale e di quella provinciale, e anche dei suoi coetanei dei Gd. Tutti pronti a fare offerte di “aiutino da casa” che poi si sono dissolte all’ultimo, sul più bello, lasciando nelle mani della candidata-concorrente il pacco sbagliato.
E allora, che serva da lezione: la politica è un gioco di squadra. È la democrazia, bellezza. Quella che prevede che le candidature si costruiscano con l’attività militante quotidiana, che siano frutto di un confronto interno e di ideali condivisi e programmi da elaborare insieme. Quel sano esercizio della militanza che prevede che i giovani sappiano aspettare al loro posto il momento giusto e siano accompagnati (e mai strumentalizzati) dai militanti più esperti.
Oggi, il partito che nel suo statuto ha il ricorso al metodo delle Primarie per scegliere i propri candidati e la propria classe dirigente, esce con le ossa rotte dalla vicenda Leonardi-Platì; prima disconoscendo l’impegno dei pochi ma genuini e appassionati militanti locali, l’anno scorso di questi tempi emarginati dai vertici provinciali del partito, scesi a Platì per inaugurare un circolo durato il breve volgere di una stagione e retto da persone selezionate in base alla fedeltà ai maggiorenti reggini del Pd. Poi, ha mandato allo sbaraglio una ragazza ambiziosa e inesperta, per poi negarle il simbolo a pochi giorni, abbandonandola dopo averla sedotta a suon di “renzate”.
Per ulteriori dettagli sulla vicenda, vi invitiamo leggere quanto scritto dal collega Pietro Bellantoni su www.corrieredellacalabria.it.
Al Pd reggino, calabrese e nazionale, invece, chiediamo un esame di coscienza dopo la figuraccia rimediata su Platì, e ai suoi maggiorenti che oggi emulano Ponzio Pilato, cantiamo quel verso della “Canzone del maggio” di De Andrè che recita: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
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