di Simona Ansani
CATANZARO – Fiato sospeso, perplessità, stupore e anche incredulità. Sono i sentimenti che hanno ripercorso i momenti in cui Luca Sivelli, nella sua performance artistica dal vivo, ha intrapreso all’Accademia di Belle Arti. Sivelli, docente dell’Aba di Catanzaro, ha sviluppato questo studio del mondo sommerso lungo il periodo di pandemia, vivendo a stretto contatto con i pesci chiusi nell’acquario. Quel mondo silenzioso è stata come una seconda casa, una famiglia dove rifugiarsi e studiare le caratteristiche morfologiche e di socialità dei pesci.
«Con questa performance – ha spiegato Simona Caramia, coordinatrice del Dipartimento Arti Visive dell’Accademia e curatrice dell’iniziativa -, si concludono due anni di ricerca portata avanti da Luca Sivelli. Un percorso in cui l’artista ha indagato la coabitazione con il mondo animale, in particolare con i pesci».
«Si tratta – ha aggiunto – di un rapporto nato nel periodo della pandemia: in quel momento Sivelli ha sperimentato questa stretta sinergia con i pesci, che sono stati per lui una valvola di sfogo relazionale. A loro, Sivelli ha restituito una relazionalità umana organizzando dei “momenti di evasione” come serate in discoteca, uno shooting fotografico e una serata “al cinema”. Per l’artista, i pesci erano il paradigma della condizione umana al tempo della pandemia. Da quell’esperienza sono nate due mostre, una al Bocs Museum di Cosenza e una a Palazzo Fondi di Napoli, oggi arriva e si conclude questo lavoro sulla prigionia con una performance in cui l’artista, prigioniero di un acquario, si lascia sommergere, quasi fino ad annegare, prima di riemergere e tornare libero. Il simbolismo della performance è tanto forte, quanto significativo e ci restituisce la cifra esatta della sensibilità dell’artista e della sua capacità di descrivere la realtà che quotidianamente osserva e vive». «Grazie all’esposizione del progetto nella mostra “Nice Party Nice People” del Bocs Museum, sono venute fuori diverse riflessioni sul senso della libertà. Vivendo in un periodo di costrizioni, com’era quello della pandemia, mi sono ritrovato e rivisto nella comunità di pesci che ho accudito, pesci che erano a conti fatti “prigionieri” del mio acquario. La ricerca è andata avanti con l’esposizione a Palazzo Fondi di Napoli: qui è nata una riflessione sul contrasto tra la vita in libertà e quella in cattività», ha detto Sivelli al termine della performance e ha aggiunto: «Con quello che ritengo un giusto epilogo di questo percorso, ho deciso di rinchiudermi io stesso in un acquario. Personalmente, è stato un momento di confronto con ciò che ho “manipolato” per un lungo periodo: trovarmi “dall’altro lato”, rinchiuso, costretto tra le pareti di cristallo mi ha fatto percepire, man mano che l’acqua saliva, la progressiva privazione della libertà. Un paradigma secondo me adeguato a descrivere l’evoluzione della nostra vita, che spesso ci mette davanti a scelte o obblighi che limitano e modificano la nostra libertà e la concezione che abbiamo della libertà stessa».