R. & P.
La pandemia, la crisi di governo, la politica al tempo di facebook hanno messo nell’angolo un appuntamento, i 100 anni della nascita del PCI il 21 gennaio 2021, che produce un po’ di emozione e tristezza in chi ha militato ed è cresciuto nella più grande comunità politica del movimento operaio dell’Occidente.
Non è solo la nostalgia ad intristire il presente pensando alla baldanza di un’età ricca di ideali e di conquiste sociali, ma è, soprattutto, la valanga di ricordi e la comparazione di un modo di fare politica organizzata proiettati sull’oggi che buttano il morale per terra. È l’oggi che intristisce chi è figlio del movimento politico che portava in bella vista nei cortei lo slogan coniato da Palmiro Togliatti: “Veniamo da lontano, andiamo lontano!”
È l’oggi che ci rende tristi, non per quello che più non abbiamo (la comunità politica che si fa lotta per la causa), ma perché la Storia per come si è evoluta ci ha imposto di assistere impotenti all’evaporazione della causa.
La storia del PCI ha i suoi errori (enormi) e le sue contraddizioni (tantissime) che sarebbe sbagliato non riconoscere quando, ormai, siamo nell’orbita della storia e non in quella della cronaca politica. Ma quanta nobiltà dietro quella bandiera con la falce e il martello!
Ogni militante comunista potrebbe portare la sua storia e il filo rosso dell’impegno per una causa alta segnerebbe ad ogni latitudine i contorni nobili di un modo di fare politica oggi letteralmente scomparso. Mentre raggomitolo frammenti della nostra baldanza giovanile un fermo immagine mi riporta al 13 giugno del 1984, quando in Piazza San Giovanni, la piazza romana delle organizzazioni operaie, sotto una cappa di calore e di tristezza, davamo l’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer. Una fila composta tagliava in quattro corsie, di andata e ritorno, Via delle Botteghe Oscure fino all’Altare della Patria. Ore di fila dopo una notte in viaggio sul “treno del Sud” per soffermarci solo un istante con il pugno chiuso dinanzi al feretro del grande dirigente comunista. E i compagni delegati della nostra federazione a prestare il picchetto d’onore per cinque minuti, mentre sfilavano a pochi centimetri Nilde Iotti, Giancarlo Pajetta, Yasser Arafat e, persino, l’avversario fascista Giorgio Almirante. Tutti con gli occhi lucidi nei quali ognuno di noi rifletteva la sua piccola/grande “scelta di vita”, così definì la militanza comunista Giorgio Amendola in un famoso libro pubblicato da Rizzoli nel 1976.
Molti di noi che avevano abbracciato la causa comunista guardando al partito di Enrico Berlinguer nel pieno della sua esplosione ideale ed elettorale, all’indomani dell’89 ci sentimmo orfani e, forse e senza forse, non ritrovammo più la strada. Ogni appartenenza successiva, azzardato chiamarla militanza rispetto alla storia precedentemente vissuta, sarà una scia impalpabile del partito che fu. E, ancora oggi, ognuno di noi si sente orfano anche se il tempo ha rimarginato le ferite, consci che la storia non si ripete ed è incalzata dal tempo e dalle vicende degli uomini.
Per troppo tempo dopo la “fine della storia” ci siamo sentiti incompiuti fino al punto in cui non abbiamo più fatto caso rassegnati a far maturare in noi stessi il giudizio implacabile degli eventi. Quel Muro eretto e sostenuto dall’ottusa cecità ideologica, quando è crollato sulle nostre vite ha sepolto per sempre un modo di fare politica che aveva dato dignità e riscatto a donne e uomini entrati a pieno titolo nei meandri della storia. Quel Muro, inutile negarlo, è, anche, la nostra colpa e la nostra ferita. Quest’ultima in Italia siamo stati bravi a rimarginarla, ma la cicatrice è lì a dimostrala.
Oggi, il modo migliore per partecipare al compleanno del centenario del Partito Comunista Italiano, con tutte le cicatrici ma con l’orgoglio di non sentirci completamente ex, è di trattenere nel vissuto quotidiano il bagaglio culturale e formativo di quella militanza diventata Storia. Un pezzo di PCI, sono convinto, chi ha percorso quel cammino se lo porta dentro. Con le sue cadute e le sue rialzate, ma se lo porta dentro. È nostro, anche se il vecchio combattente ha raggiunto il secolo con tante rughe e tormenti.
Vorrei che gli auguri per il secolo compiuto dal mio PCI transitato, oramai, nella storia, venissero segnati da un nuovo sogno come dice Francesco Guccini ne “La Locomotiva” che cantavamo a squarcia gola nei concerti e nelle Feste de L’Unità: “La storia ci racconta come finì la corsa / la macchina deviata su una linea morta … / Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al vapore / mentre fa correre via la macchina al vapore. / E che ci giunga ancora un giorno la notizia, di una locomotiva, come una cosa viva / lanciata bomba contro l’ingiustizia …”
L’ingiustizia ha bisogno dei suo avversarsi, ma soprattutto dei suoi costruttori. Di costruttori che nulla hanno a che fare con i trasformisti dell’attuale momento politico, ma di soggetti organizzati di uomini e donne in carne e ossa chiamati a dare corsa a “una cosa viva / lanciata bomba contro l’ingiustizia …”
Auguri! F.to Vito Pirruccio
N. B. – F. Guccini LA LOCOMOTIVA – Cliccare sul link: https://youtu.be/KeX1Yb8CSjw