ROCCELLA IONICA – E’ trascorso un anno dalla prematura scomparsa di Franco Berlini, l’ingegnere lombardo venuto dal mare e che insieme alla sua Anna mise radici a Roccella, per non spostarsi mai più. Sabato scorso gli amici lo hanno ricordato nel corso di una serata speciale al Porto delle Grazie, naturale approdo dell’ultima parte della sua vita vissuta all’insegna della libertà, dell’amicizia e della voglia di scoprire sempre qualcosa di nuovo, e di fondare una struttura d’eccellenza come il Fondaco del Fico. Il modo migliore per ricordarlo è in questo struggente scritto che abbiamo ricevuto da Federica Servidio e che siamo onorati di pubblicare sulla nostra testata, con un pensiero rivolto a Franco e un affettuoso abbraccio ad Anna.
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di Federica Servidio
Quello che resta di lui è questo cielo. Volo un bacio al cielo.
E’ tutto buio. Sono cieca, vedo solo la luna. Sono talmente cieca che non vedo più nemmeno lui.
Quello che resta di lui sono i disegni delle stelle.
Rigurgito i ricordi.
Il cielo, stanotte, singhiozza.
Sono in braccio alla luna, mi sono persa tra gli alberi sulla spiaggia.
Quando c’è la luna piena dietro agli alberi, illumina tutto. Ed il sole a confronto è una lampadina scarica.
Quello che resta di lui è il canto del mare.
Lo accarezzo.
Stanotte il mare è buio. Ma è un buio accogliente, colorato. Nel buio che accoglie, le onde emettono un suono dolce.
Lui è seduto sulla sabbia bagnata. Chiude gli occhi ed entra nella musica : quando c’è dentro, poi lo rivedo, mi torna nel cuore.
Sono le quattro meno un quarto ed io sono già sveglia. Accendo la mia quarta sigaretta di tabacco virginia e continuo a guardare il mare. L’odore della mia sigaretta misto a quello del mare mi porta indietro di qualche anno. Torno in quell’estate, in quell’estate colorata, intrisa dello stesso odore. Torno in Calabria, a Roccella Jonica. Torno in quegli abbracci. Torno da Franco, da Franco ed Anna.
Franco “il grigio” (così lo chiamavano gli amici), lo conobbi davanti al mare mentre passeggiavo cercando di mettere insieme i pezzi di un amore troppo grande. Quando iniziò a raccontarmi la sua storia non sapevo nemmeno quale fosse il suo nome.
“Anna” -fu la prima parola che disse “Il mio amore troppo grande si chiama Anna”
Anna e Franco si erano incontrati davanti al mare. E fu lì che pensai che tutti “gli amori troppo grandi” avevano in qualche modo a che fare col mare, con lo struggente ritornello delle onde, con la sabbia bagnata, con la schiuma che quando tutto va bene è pasta di zucchero.
Torno da Franco tutte le notti che il mare canta per me. Torno da Anna, dai suoi occhi colmi di lui. Franco se n’è andato l’anno scorso, in una notte come questa. Mentre il mare bussava forte agli scogli.
Il mare bussava quella notte, ed il cuore di Franco ha deciso di aprirgli la porta, di tuffarsi nel suo abbraccio per sempre. Ad Anna ha lasciato il suo odore, l’odore dell’ultima notte e il rumore di una preghiera infinita : “Getta l’ancora, Franco. Attaccala al mio cuore. E non smettere di cantare per me. E se ti chiamo torna ad accarezzarmi col vento e soffia sui nostri alberi così che io ti possa sentire. E prenditi cura delle nostre piante e accarezza il mare mentre io dormo nel nostro letto. E abbracciami tutte le volte che ne hai voglia. E non mi lasciare. Mai e poi mai.”
Il mare bussava quella notte. Era una notte come questa. Odorava di “amori troppo grandi” di sigarette fatte col tabacco virginia e salsedine. Il mare bussava quella notte, come adesso.
Alzo gli occhi al cielo e le stelle disegnano per me il suo volto: lo spirito santo del mare mi sorride come aveva fatto l’ultima volta che ci siamo visti.
Era settembre. Le mie ferie erano finite. Salii in macchina e lo vidi affacciato alla finestra che mi guardava andare via.
Ciao, Fede- disse.
Ciao, grigio.