LOCRI – E’ l’anno zero del Comune di Locri. Dopo le dimissioni del sindaco Lombardo e della sua maggioranza (tranne i dissidenti Galasso e Leone), la città attende il commissario prefettizio e s’interroga su un futuro denso di nubi, fatto di una montagna di debiti da ripianare, tagli da compiere e conti da mettere in ordine. Ma se questo arduo compito toccherà, appunto, al commissario prefettizio, la politica cittadina dovrà seriamente interrogarsi sul proprio futuro, in vista delle prossime consultazioni elettorali amministrative. Non sarà più tempo, infatti, di campagne elettorali in cui non si terrà conto della grave situazione finanziaria dell’Ente, ma chi si candiderà dovrà avere ben chiare le difficoltà e tenerle nella debita considerazione, senza promesse agli elettori che non potranno mai essere mantenute. Tutti, chi si sente “vincitore” in queste ore e chi viene considerato, a torto o a ragione, “vinto”.
Partiamo da questi ultimi. Quando la minoranza uscente parla di fallimento della maggioranza “Pd-Udc” incorre, a nostro modo di vedere, in un eccesso di semplificazione, se non in una vera e propria approssimazione. L’identità politica della giunta Lombardo, infatti, è fin dall’inizio apparsa abbastanza sfumata, vista la sua composizione eterogenea e la forte impronta civica del movimento LocRinasce, vero e proprio azionista di maggioranza fino a due giorni fa. Già, LocRinasce. Il movimento fondato da Pepè Lombardo è a un bivio. La sfida del ricambio generazionale è quella che lo attende, per dimostrare di non essere un soggetto politico a base carismatica, ma un movimento animato da democrazia interna in cui i tanti giovani presenti possono emergere, anche e soprattutto grazie all’esperienza dei fondatori. Le risorse umane non mancano. Basterebbe, probabilmente, dare loro lo spazio che meritano. L’Udc, la cui ipotesi di gruppo consiliare autonomo prese corpo lo scorso mese di agosto, fa riferimento all’ex sindaco Carmine Barbaro, che secondo alcuni rumors cittadini potrebbe essere tentato da una candidatura in Parlamento alle prossime Politiche, con la benedizione del presidente del consiglio regionale Franco Talarico. Un obiettivo, questo, che se dovesse prendere corpo, metterebbe in secondo piano l’ipotesi di una candidatura d’area a sindaco. E poi c’è l’Api del coordinatore provinciale Sergio Laganà. La scelta del proprio assessore di riferimento Francesco Galasso, che non ha firmato il documento che ha accompagnato le dimissioni dell’ex maggioranza, sembra segnare un punto di rottura. Vedremo gli sviluppi. Il Pd, dal canto suo, era rappresentato in maggioranza dal vicesindaco Aldo Dattilo, dal capogruppo Emanuele Marando e dal consigliere Federico Fazzari. La segreteria del circolo cittadino è saldamente nella mani di Giuseppe Fortugno, figlio della parlamentare Maria Grazia Laganà, che però alla Camera ha lasciato la compagine democrat per aderire al gruppo misto, dopo la condanna in primo grado nel processo che l’ha vista imputata. Bisognerà tenere conto, anche tra i democratici, della fronda guidata da Pino Mammoliti, che si sente “grande escluso” dalla fase congressuale settembrina e forse medita propositi di rivalsa nella partita per le primarie nazionali, in cui è uno dei principali sostenitori locridei di Matteo Renzi, contrariamente alla maggioranza bersaniana del circolo cittadino.
Ipotizzare fin da ora un candidato sindaco da scegliere in seno alla maggioranza uscente è impresa ardua, visto che i numeri delle passate consultazioni dicono che Lombardo ha vinto soprattutto grazie alle divisioni del centrodestra (che ora i tre candidati dell’anno scorso giurano di avere superato) e dopo le dimissioni della maggioranza sarà difficile che qualcuno degli uscenti scelga di ricandidarsi. E allora, ad oggi, le ipotesi sono due: una candidatura “di bandiera” da parte dei soggetti politici principali, oppure una “di rottura”, coinvolgendo magari chi, come Pino Mammoliti, ha sempre sostenuto l’amministrazione Lombardo pur non facendone parte e non avendo l’obbligo di condividerne le scelte che, agli occhi di parte dell’elettorato, potrebbero sembrare sbagliate.
E poi c’è il centrodestra, in tutti i suoi volti. Un centrodestra “uno e trino”, che da parecchio ha espresso resipiscenza per le divisioni del 2011 che hanno spianato la strada alla vittoria di Lombardo. Un centrodestra che in consiglio comunale ha condotto un’opposizione spietata e inflessibile, facendo leva sulla recente esperienza amministrativa e sulla conoscenza degli atti comunali, dei quali ha messo in luce, volta per volta, errori e incongruenze. Ora, però, è diverso, perchè il centrodestra locale e i suoi leader dovranno anzitutto dimostrare una rinnovata cultura di governo, nel momento forse più difficile della vita amministrativa di Locri. Macrì, Calabrese e Sainato, se vogliono riconquistare il governo cittadino, dovranno lasciarsi alle spalle il ruolo di oppositori che – va detto – hanno spesso svolto in maniera assai efficace, e proporsi in maniera credibile e affidabile, visto che la stagione della feroce ironia contro la maggioranza, della copiosa attività del loro ufficio stampa e delle uscite ad effetto è finita. Dovranno mettere da parte le ambizioni individuali (vera e propria zappa sui piedi della precedente tornata elettorale), accordarsi su una candidatura comune e condivisa e stilare un programma di governo sostenibile. Loro che in diverse circostanze dai banchi dell’opposizione consiliare hanno provato, specie con Sainato che è il più “tecnico” dei tre, a indicare la via per evitare il dissesto dell’Ente, dovranno essere capaci di concretizzare le cose che hanno sempre detto, per tornare dall’altra parte della barricata.
Questo è il quadro politico locale ad oggi. Le indicazioni dei prossimi mesi ci diranno come la città andrà al voto nella prossima tornata elettorale. Per ora arriva il commissario. Il lavoro “sporco” per rimettere a posto i conti lo farà lui; poi, però, quando finirà, ci vorrà qualcuno che non lo vanifichi o che, più probabilmente, continui a farlo.
GIANLUCA ALBANESE