LOCRI – Un pezzo importante di storia contemporanea che prende spunto dal vissuto quotidiano di un giovane calabrese prima e durante la seconda guerra mondiale. E’ questo il senso dell’ultima fatica letteraria di Gregorio Corigliano da San Ferdinando, giornalista e scrittore noto al grande pubblico per l’ultratrentennale carriera nella Rai, azienda lasciata a fine 2010 «Per scelta personale» come lo stesso autore ha confidato alla folta platea che questo pomeriggio ha assistito alla presentazione di “I diari di mio padre” (Luigi Pellegrini editore), organizzata dalla locale sezione della Fidapa.
L’autore ha parlato col cuore in mano, spogliandosi dai panni del cronista che ha vissuto in prima linea la stagione dei sequestri in Aspromonte e i segreti della politica regionale. Già, questa sera, Corigliano è tornato il ragazzo delle “Casette” (antica e confidenziale definizione del piccolo centro della Piana di Gioia Tauro) che dopo quarant’anni, e su suggerimento delle figlie, ha dato alle stampe le memorie di un genitore speciale, uno che ha combattuto sul fronte libico, è stato catturato dagli inglesi e deportato in India, prima di tornare nella terra natia a mettere in pratica quella maturità magistrale conquistata in gioventù a costo di enormi sacrifici, nel tempo in cui lo studio era un privilegio per pochi. E così, la guerra, per una volta, viene raccontata da chi l’ha combattuta e non dagli storici e come hanno detto parecchi dal tavolo dei relatori, la storia di Tonino (questo il nome del padre di Gregorio Corigliano) non è quella di un eroe di guerra, ma di un ragazzo come tanti, che ne ha annotato tutti i dettagli di vita quotidiana nei quaderni che questa sera il figlio ha offerto alla visione del pubblico. Quaderni con la copertina ingiallita e le scritte in inglese, ma ancora intatti, proprio come le emozioni che scaturiscono dalla memorie. Tra l’altro, il volume gode della prefazione di una grande firma di Repubblica come Vittorio Zucconi, direttore di Radio Capital, e chi, come il relatore Ugo Mollica, l’ha letto, ne ha apprezzato la sensibilità umana e lo stile «senza fabula» ma con tanto sentimento; proprio come i cori spiritual cantati prima dell’inizio della presentazione dal gruppo Vox Populi di Brancaleone. E la serata è riuscita davvero bene, per la gioia degli organizzatori, dalla Fidapa al comitato pro Moschetta, ma anche del Comune di Locri, rappresentato dal commissario Francesca Crea, che conosce Corigliano da diversi anni e che in comune con lui ha l’esperienza di avere avuto un padre combattente «anche se – ha detto la Crea – la cosa più bella era andare ai raduni dei sommergibilisti nei quali i militari un tempo nemici si abbracciavano, a testimonianza dell’assoluto valore della pace». Dopo il messaggio di benvenuto del presidente della Fidapa di Locri Cristina Caracciolo e il saluto della Crea, la professoressa Marisa Reale ha aperto i lavori, definendo il libro di Corigliano «Assai istruttivo per le giovani generazioni che forse non conoscono le sofferenze e le umiliazioni subite dai nostri soldati in Libia nei primi decenni del ‘900». Quindi, è stata la volta della lunga e appassionata relazione di Ugo Mollica, colto, raffinato e romantico come sempre, che si è emozionato osservando i diari dell’allora giovane Tonino Corigliano «Scritti – ha detto – con grafia dolcissima e stile compunto». Le conclusioni sono state affidate, naturalmente, all’autore, che dopo la lunga teoria dei saluti e ringraziamenti ai tanti amici locresi presenti e conosciuti in quarant’anni di giornalismo, si è dapprima soffermato sul senso di questo mestiere «Che – ha detto – non ha senso fare se si guarda l’orologio e lo si affronta con lo spirito dell’impiegato del catasto che a una certa ora decide che il turno di lavoro è finito e va via» e pensando all’esperienza dei diari del padre scritti nel periodo che dal ’38 ha condotto al ’46, li definisce «frutto del lavoro di un ragazzo calabrese che, giorno dopo giorno, ha fatto il reporter di sé stesso». Già, reporter di sé stesso. Nei tempi in cui l’informazione on line non era nemmeno nella più fervida immaginazione di chi li viveva, ma scrivere era un’esigenza che nasceva da un sentimento interiore. E che oggi, nel ventunesimo secolo, vale la pena rivivere, anche grazie a un libro come “I diari di mio padre”.
GIANLUCA ALBANESE