DI SEGUITO L’OMELIA DEL VESCOVO DELLA DIOCESI DI LOCRI-GERACE MONS. OLIVA:
La liturgia della Parola di questa XV domenica del tempo ordinario ci illumina e ci aiuta a comprendere la vocazione sacerdotale, la chiamata che ha segnato la vita di don ANTONIO e di tanti di noi qui presenti a questa celebrazione esequiale.
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Carissimi confratelli sacerdoti,
siamo qui a fare corona attorno alla salma di un confratello, che ha speso la sua vita in un lungo servizio pastorale; desideriamo far tesoro di questa testimonianza sacerdotale bella e significativa. So di essere tra voi quello che meno ha conosciuto don Antonio. Ma sono bastati pochi secondi nell’incontro avuto con lui nell’estate scorsa per capire la sofferenza di chi per malattia ed età avanzata non poteva più continuare nel suo servizio. Lavorare nella vigna del Signore senza risparmio: questa è la prima consegna che ci lascia don Antonio. Per questo è stato molto apprezzato da coloro che lo hanno avuto come loro parroco. I fedeli si affezionano molto ai sacerdoti sempre presenti, che operano con entusiasmo e passione, reperibili h 24. Ed è questo il motivo per cui a nome di tutta la nostra chiesa diocesana sento di poter dire grazie al Signore per il dono di questo sacerdote. Grazie, Signore, per le energie spirituali che non gli hai fatto mancare. Nessuno di noi sacerdoti può dubitare che l’azione apostolica e la passione per il Vangelo trovano sempre terreno fertile in una profonda relazione di amore col Signore.
Oggi la Parola del Vangelo ci ha ricordato che all’origine del nostro essere sacerdoti c’è una chiamata del Signore: non siamo stati noi a sceglierlo, ma è stato Lui a chiamarci. Ciascuno potrebbe dire: Perché proprio me? Anche se la risposta non fosse chiara, una ragione c’è e va ricercata nel cuore stesso di Dio. E’ una chiamata che scaturisce unicamente dalla sua predilezione e libera scelta. Ce lo ricorda papa Francesco: “nessuna vocazione nasce da sé o vive per se stessa. La vocazione scaturisce dal cuore di Dio e germoglia nella terra buona del popolo fedele, nell’esperienza del popolo fraterno”. Dio che chiama è il fondamento della nostra vocazione, ciò che dà dignità e valore alla nostra vita. La risposta alla chiamata è una risposta di fede, che si esprime in una relazione di affidamento all’Eterno Amore. Non dimentichiamolo mai! E’ una risposta data con un atto di estrema fiducia, “senza se e senza ma”. Ci siamo messi alla sua sequela, scommettendo solo su di lui. Una scelta che ci ha posto davanti un cammino che ha caratterizzato tutta la nostra esistenza. E’ questo per un disegno meraviglioso del Padre. A questo faceva riferimento San Paolo nella lettera agli Efesini: siamo inseriti in un disegno meraviglioso del Padre, che ci ha scelti dall’eternità con un atto di amore per essere santi, cioè esclusivamente suoi, consacrati a lui, nonché immacolati, senza macchia, integri.
Per questa ragione il nostro affidamento al Signore, se ha avuto il suo momento forte al momento dell’ordinazione sacerdotale, esige da ciascuno un’adesione e fedeltà quotidiana. Come Gesù ci ricorda, la missione comporta il “rimanere nel suo amore”. La stabilità e la permanenza nel suo amore non ammettono l’episodicità e l’occasionalità, l’emotività e la precarietà di una adesione a tempo, limitata ad alcune fasce orarie. Si sta con Gesù in ogni ora della giornata, in tutte le circostanze della vita. E’ un rimanere che implica un’assoluta fedeltà a Lui, anche nei momenti di stanchezza e di prova. E’ l’amore di Gesù che ci spinge o più chiaramente – come diceva Chiara Lubich – “ci spinge a vivere sempre più fedelmente la sua parola; e nello stesso tempo la parola di Gesù vissuta ci fa rimanere, e quindi ci fa crescere sempre più nell’amore per Lui”.
Chiamandoci, Gesù non voleva dei servi, ma degli amici: il suo è stato un invito a seguirlo e a vivere un rapporto di intimità con lui. Questa intimità è la ricchezza di ogni sacerdote, ne illumina la vita, rende ragione delle sue scelte, spiega la radicalità del suo orientamento di vita. Per questo ogni rallentamento o indebolimento della relazione col Signore ci rende tristi, incapaci, disorientati, demotivati, apre la via al fallimento. Da esso deriva quella stanchezza spirituale, che tocca la vita del sacerdote, che ne rallenta il ritmo dell’impegno pastorale.
Su questo percorso spirituale di fedeltà al Signore ha camminato don ANTONIO PERRI, nato Careri il 6 Dicembre 1930 e ordinato sacerdote a soli 24 anni il 18 luglio 1954 da Mons. Pacifico Maria Perantoni. I primi anni di ministero li svolsero in seminario come educatore e successivamente a Caulonia come Parroco. A Roccella mandato da giovane, all’età di 30 anni, si svolse gran parte della sua vita sacerdotale. Un lungo percorso pastorale, durato ben 52 anni come parroco della Parrocchia di Sant’Anastasia al Borgo dal 1960 al 1977 ed, in seguito all’accorpamento della parrocchia di Sant’Anastasia alla Matrice, come parroco della Chiesa Matrice, dove è rimasto per 34 anni. Lascia la cura pastorale della Parrocchia il 15 Settembre 2011 nella settimana della festa di Maria S.S. Addolorata una delle feste più importanti di Roccella, a cui egli era particolarmente affezionato.
Sacerdote molto preparato e di profonda solidità teologica e spirituale, ha formato intere generazioni roccellese alla fede e al senso ecclesiale del vivere il Vangelo con la coerenza della vita. In particolare è stato assistente dell’Azione Cattolica, che ha nella chiesa matrice la sua sede di formazione, prestando particolare attenzione ai giovani come agli adulti, ai bambini come ai ragazzi. La sua persona ha lasciato in tanti il ricordo di un pastore attento e vigile, disponibile e sempre pronto alla cura pastorale.
Con questo non penso di avere esaurito il racconto di una vita, che è stata soprattutto caratterizzata da una missione spirituale e di santificazione, che solo Dio conosce perfettamente. In questa Chiesa don Antonio è stato ministro del Signore, dispensatore dei suoi misteri, annunciatore della Parola, dispensatore di speranza e della misericordia di Dio. Anche a lui il Signore ha dato il potere “sugli spiriti impuri”, ovvero la missione di vincere il male e di rendere liberi di fronte al peccato. Questa è la missione di ogni sacerdote: offrire a tutti la persona di Gesù e i suoi gesti di liberazione. Il sacerdote, mandato per alleviare le sofferenze dell’umanità malata attraverso il ministero della riconciliazione, manifesta la vicinanza di Gesù ad ogni sofferenza, ad ogni umanità malata, rivela quel Dio misericordioso che mostra la sua compassione per l’uomo. Una missione alta e nobile! A noi sacerdoti è stata data questa missione. Ad essa siamo chiamati a spendere molto del nostro tempo. Il Santo Curato d’Ars, patrono dei Parroci, s’è santificato, spendendo gran tempo della sua giornata nell’ascoltare le confessioni. Amministrare il sacramento del perdono è una grande responsabilità! Molti fedeli si allontanano dalla chiesa, perché non trovano le chiese e i confessionali aperti.
Molti mi hanno parlato di don Antonio come un sacerdote schietto, rispettoso, leale e riservato, pronto ad accogliere ogni “segno” di vocazione. La sua vita sacerdotale, come ogni vita vissuta con gioia ed entusiasmo, era attraente e veicolo di altre vocazioni. E don Antonio è stato per molti sacerdoti di aiuto, di accompagnamento: una vera guida spirituale. Ci sia ancora vicino e interceda per la nostra Chiesa, che ha amato e servito con animo missionario.
Non ci resta che consegnarlo nelle mani del Padre, perché abbia il meritato riposo e la felicità eterna. AMEN!