di Francesca Cusumano
LOCRI – L’ennesima mortificazione che grava come un macigno sulla famiglia Amante che dal 2020 lotta per ottenere giustizia per la morte di papà Giuseppe, scomparso a soli 66 anni e strappato all’affetto dei suoi cari, nel dicembre del 2019, al Gom di Reggio Calabria, a causa di un’ischemia cerabrale dell’arte basilare.
Un caso di malasanità, trattato, secondo quanto raccontato a Lente Locale, da Mariangela, figlia di Giuseppe, «con negligenza e con superficialità dagli operatori sanitari».
Ed è per questo che, dopo la seconda archiviazione disposta dalla Procura di Locri, la famiglia Amante si appella affinchè le carte vengano nuovamente rieseminate e che il sacrificio di Giuseppe, che ha pagato a caro prezzo, a discapito della sua stessa vita, non rimanga vano.
I FATTI
Il calvario di Giuseppe Amante comincia nel novembre 2019, colpito da un malore accompagnato da capogiri, nausea e conseguente vomito, un calvario durato tre interminabili settimane tra l’ospedale di Locri e poi il trasferimento d’urgenza al nosocomio reggino, quando oramai era troppo tardi, dopo giorni di diagnosi sbagliate.
Giuseppe Amante ha trascorso giorni interi in un letto d’ospedale «senza ricevere – a detta della famiglia – le cure necessarie per l’ischemia che lo aveva colpito», trascorrendo le ultime ore della sua vita, in attesa di un’ambulanza che potesse trasferirlo dall’ospedale di Locri a quello di Reggio Calabria.
Un’ambulanza chiamata prima in codice giallo e che solo dopo 6 ore di attesa e le ripetute sollecitazioni della famiglia (Giuseppe Amante era quasi in stato di coma), si trasforma in rosso, procedendo così, con il trasferimento al Gom.
Ed qui, che emergerà attraverso una risonanza magnetica, la diagnosi corretta: “ischemia cerebrale dell’arteria basilare”.
Poche però le possibilità di sopravvivenza per Giuseppe Amante, l’ischemia infatti, aveva raggiunto la sua fase più acuta e nonostante il trasferimento dell’uomo in Terapia Intensiva, il suo cuore cesserà di battere alle 16.05 del 12 dicembre 2019.
«Fa molto male – sostiene Mariangela – ricevere un’ulteriore archiviazione, un ulteriore rifiuto a voler proseguire le indagini. Molto male anche perché, dalle indagini espletate, emergono molte contraddizioni. All’inizio della nostra denuncia, abbiamo evidenziato tra i sanitari la mancata tempestività nell’intervento, tempestività necessaria per poter salvare una vita umana. Ecco, adesso – continua la figlia di Giuseppe – leggiamo “tra le righe” che questa mancata tempestività è quasi “normalità”. Non lo possiamo proprio accettare. Non possiamo accettare che ci sia stato detto: “menomale che l’abbiamo mandato a Reggio, almeno sappiamo per cosa è morto”. Non possiamo accettare, di aver visto mio padre soffrire e sentirci dire di non interferire, che probabilmente si trattava di un virus influenzale, di un problema gastrico. Non possiamo accettare che non si sia riusciti a distinguere un vomito gastrico da un vomito neurologico. Non possiamo accettare che non si fosse compreso che la tac negativa, poteva non bastare, serviva un esame diagnostico più approfondito, come la risonanza a riconoscere l’ischemia cerebrale che aveva colpito mio padre. L’ultimo giorno di sofferenza, sono state fatte delle “prove” a discapito della vita di mio padre. Ed infine – prosegue Mariangela – non possiamo accettare che un medico abbia detto di aver fatto “una visita di cortesia”, aver visto mio padre stare male, ma non poter far nulla perché non aveva ricevuto carta scritta come richiesta “ufficiale” di visita neurologica. Un medico dovrebbe intervenire sempre, soprattutto se capisce che un paziente/ amico è in pericolo di vita. Tutto ciò, naturalmente documentato, non lo possiamo accettare».
Le due archiviazioni inducono la famiglia Amante a non mollare la presa, dimostrando che con la giusta tempestività e con gli idonei strumenti diagnostici, le cose sarebbero potute andare con un epilogo diverso, anzichè assistere inermi alla sofferenza di un uomo, arrivato alla morte, dopo giorni di agonia, trascorsi in un letto d’ospedale «Che il caso sia stato trattato con estrema superficialità – sottolinea Mariangela – non lo diciamo solo noi, ma lo confermano i fatti. La giustizia nella quale abbiamo sempre creduto, ha il dovere di fare piena luce. Confidiamo nelle istituzioni, confidiamo nella Procura a rivedere le carte. Mio padre ha sofferto tantissimo, questo non lo possiamo accettare. Chiediamo di essere sentiti, di essere ascoltati, perché questo “sacrificio”, non rimanga invano».