di Gianluca Albanese (foto e video di Enzo Lacopo)
LOCRI – Senza fronzoli e senza ipocrisia; e con una capacità esplicativa senza pari. Così, ieri pomeriggio, nel salone del Circolo di riunione di Locri, il professor Salvatore “Turi” Futia ha esposto l’azione pastorale, politica ma soprattutto sociale di un vescovo per certi versi scomodo ma del quale si ha, a tutt’oggi, viva memoria. Il presule che trasferì la sede della diocesi a Gerace a Locri, e che fu inviso a molti: ai maggiorenti locali della Dc, a molti geracesi e ai fedelissimi del potentissimo cardinale Ottaviani.
Futia, affiancato al tavolo dei relatori da Giovanni Pittari, ha parlato davanti a una sala gremita di amici ed estimatori, ai quali ha regalato, ancora una volta, il piacere della conoscenza dei fatti storici del ‘900 senza trascurare alcun dettaglio e senza la benché minima saccenteria; anzi, la sua esposizione è stata spesso arricchita da alcune venature ironiche, che l’hanno resa ancora più piacevole.
Come promesso, lo storico locrese he regalato a tutti i presenti una copia del suo libro dedicato a monsignor Perantoni “Capace – ha spiegato – di fare l’unico vero piano strategico mai attuato da queste parti, puntando su istruzione, corsi professionali, colonie marine e sullo sviluppo dell’associazionismo. Perantoni – ha proseguito Futia – fece realizzare, tra l’altro, 100 asili che diedero lavoro a 600 maestre che poi furono assunte nella scuola pubblica, fece arrivare decine di autotreni carichi di viveri, abiti e materiale didattico nella Locride devastata dall’alluvione, costruì dal nulla un tessuto sociale puntando sui corpi intermedi. Fu un fustigatore di costumi ed un eccitatore di iniziative e amava dire che per ogni scuola che si apre c’è una prigione che si chiude”.
Non è mancato un riferimento alla sua parabola discendente “Quando, dopo la campagna scandalistica messa in atto dalla stampa nazionale nel 1962 venne promosso per essere rimosso, come si usa spesso – ha detto Turi Futia – nella Chiesa” e alla vicenda descritta da un articolo uscito su “Il Giornale” l’anno scorso, con le rivelazioni di uno chef originario di Marina di Gioiosa ma da anni residente in Veneto, che dice di aver ricevuto da Perantoni una lettera che avrebbe dovuto recapitare all’allora Papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I) per informarlo che era in pericolo di vita. Pedullà (questo il nome dello chef calabrese) non se la sentì di recapitarla e dopo pochissimi giorni Papa Luciani morì.
Molti gli interventi che hanno animato il dibattito, tra cui quelli dello stesso Giovanni Pittari, di Ugo Mollica, di Pino Mammoliti (che ha definito Perantoni “Un Bergoglio ante litteram” e ha invitato tutti a cogliere l’esempio del vescovo veneto e del patrimonio di conoscenza trasmesso da Turi Futia per fare pulizia nella Chiesa e svegliare la società dal torpore – definito “Alzheimer sociale” – nel quale versa), e Luigi Chianese.
Prima di lasciarvi alle immagini della relazione di Futia e dell’intervento di Mammoliti, riprese e montate dal nostro Enzo Lacopo, chiudiamo con un auspicio: pare che quella di ieri sarà l’ultima uscita pubblica di Turi Futia; ci auguriamo che non sia così, perché questa società, così apparentemente arida, incolta, distratta da Tv e social network, vittima di pigrizia mentale e atteggiamento ancillare verso i potentucci di turno, hain realtà un grande bisogno di conoscenza, di sapere. Quel sapere che grandi uomini come Turi Futia hanno la capacità di trasmettere. Ecco perché al punto che ha messo ieri sera il professore, vorremmo aggiungerne altri due. In modo che diventino tre puntini di sospensione.
IL VIDEO CON UN’AMPIA SINTESI DELLA SERATA
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