di Simona Masciaga
MILANO – Movimento rotatorio scenografico che simboleggia il tempo che scorre impedendo dinamismo interpretativo dei personaggi: vittime di un ” destino”, fautore di un piano già convenzionato, i protagonisti percorrono la loro storia tra mille domande e mille perché. Opera che esalta la potenza di un futuro designato che prevale sul libero arbitrio e che misticamente si abbandona alla fede e al piano salvifico di Dio.
Sicuramente un lavoro verdiano ben caratterizzato, per struttura drammaturgica, che esula completamente dalle convenzioni melodrammatiche del tempo;sia per trama che per contesto, Verdi stesso lo definì semplicemente ” dramma in quattro atti” strettamente legato al Boris Godunov di Musorgskji (andato in scena due anni fa) da cui, lo stesso maestro ne trasse ispirazione per rappresentarlo nel 1862 al teatro Imperiale di San Pietroburgo con un notevole insuccesso.
La versione rappresentata è quella riveduta e corretta più volte del 1869 e andata in scena a Milano dopo il flop di Giovanna D Arco. Orbene, un successo che oggigiorno riscuote approvazione sia musicale che di interpretazione: qui abbiamo visto il perfetto connubio tra il regista Leo Muscato, la scenografa Federica Parolini, le coreografie curate da Michela Lucenti e ovviamente il superbo maestro Riccardo Chailly che, alla sua undicesima open stagione scaligera (ben 9 opere di Verdi) ha reso superba la performance.
Possiamo dire che, per due aspetti, si tratta di un’ opera innovativa: il primo tratta della parte pseudo commediante, allegra dimostrata dalla figura leggera di Preziosilla (Vasilisa Berzhanakaya) e dai commilitoni: essendo un lavoro della maturità verdiana sicuramente anticipa il Falstaff Shakespeariano; in seconda battuta da notare i ruoli e i duetti prettamente manzoniani. Fra Melitone (Marco Filippo Romano) e Mastro Trabuco ( Carlo Bosi) nel loro duetto molto richiamano la figura del manzoniano frà Cristoforo in confessione, per non parlare della scelta mistica di Leonora (Anna Netrebko) combattuta tra l’amore filiale e l’amore verso don Alvaro (Brian Jadge). Prima donna indiscussa che ha saputo suscitare il delirio del loggione è stata Anna Netrebko con il suo sapersi intercalare con il ruolo di Leonora sia vocalmente che espressivamente ottenendo un plauso di riconoscenza anche dal maestro Chailly.
Insomma, finalmente un’opera pienamente cantata con pochissimi strambotti e pause interpretative: veloce il tutto scorre su di una ruota temporale, la musica assale, accompagna, evolve tra sinfonie e romanze come uno scorrere silenziosamente assordante: una vicenda dove l’uomo prende consapevolezza del proprio essere già segnato dal destino e dove da uno sterile ramo può sempre sorgere il germoglio della primavera: la vita che si rinnova.
Da non dimenticare il lavoro certosino delle 90 sarte e dei 15 calzolai sotto la guida dell’infaticabile Silvia Aymonino che hanno realizzato ben 300 costumi d’epoca dal ‘700 ai giorni nostri ( la ruota del tempo gira)!
In conclusione l’opera maledetta si è rivelata un vero successo conquistando le critiche artistiche e il pubblico meneghino anche meno addentrato; certamente fuori dal teatro, beceri attivisti pro Palestina e anti cultura hanno cercato di rovinare l’evento culturale dell’anno sporcando di sterco il Red carpet e forzando le transenne ma, nonostante questo disagio poco consono e incivile è stato un vero successo culturale all’insegna del bel canto e della tradizione ambrosiana.