di Adelina B. Scorda
LOCRI – L’appalto sui lavori della conduzione del gas metano a San Luca sarebbe stato controllato dalla famiglia Mammoliti, detta “fischiante”, che avrebbe imposto alla ditta aggiudicataria dell’opera, da 1 milione e 300 mila euro, la presenza di ditte riconducibili al clan attraverso la formula del “sub appalto non autorizzato”. Sui presunti affari illeciti dei Mammoliti si fonda l’inchiesta della Procura distrettuale, rappresentata dal Pm Francesco Tedesco, che al processo “Metano a San Luca”, che oggi ha proseguito la fase dibattimentale davanti alla sezione penale del tribunale di Locri.
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Il procedimento penale che vede imputati, Antonio Cosmo, Francesco Cosmo, Giuseppe Cosmo, (classe 77), Giuseppe Cosmo, (classe 87), Domenico Mammoliti, Francesco Mammoliti, Stefano Mammoliti, e di Edmondo Rinaldo Venneri con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. Una meticolosa ricostruzione della vicenda storico-tecnica ha interessato l’udienza odierna che analizzato le vicende accadute tra il 2010e il 2012 riguardanti le ragioni che portarono l’azienda all’assunzione di personale in loco oltre all’accertamento di quanto ampiamente motivato e argomentato dall’attività investigativa che nel settembre del 2011 all’arresto degli imputati.
All’epoca dei fatti emerse dalle indagini dopo l’incendio di un autocarro della ditta Metangas di Rende (Cosenza), impegnata nei lavori di metanizzazione di San Luca, nel cantiere erano stati assunte diverse persone in gran parte contigui alla cosca Mammoliti detta appunto “fischiante”. A emergere nel procedimento, con un ruolo apicale, è la figura di Francesco Mammoliti, (classe 49), ritenuto capo dell’omonima consorteria di San Luca, che pur ristretto agli arresti domiciliari, secondo le risultanze investigative, sarebbe di fatto il reale proprietario e gestore dell’impresa intestata al nipote Stefano Mammoliti.
L’attenzione del Pm Tedesco si è concentrata in particolare su un passaggio dell’attività investigativa in cui si asserisce che dei soggetti non identificati si erano presentati presso il cantiere della Metangas e dietro la minaccia di un fucile si erano impossessati dell’autocarro per poi renderlo inservibile appiccandovi l’incendio. Vicenda esclusa dal teste se non altro perché dice: “ nei cantieri ci sono delle figure addette al controllo e qualora ci fosse stata la presenza di questi soggetti, credo che quanto meno gli addetti lo avrebbero segnalato”. La strategia intimidatoria aveva sortito immediati risultati, infatti, da lì a breve erano stati assunti, per l’impiego nel cantiere, diversi soggetti tutti provenienti da San Luca in gran parte contigui alla cosca Mammoliti.
In merito alle assunzioni il teste ha spiegato le loro ragioni collegandole semplicemente ad una strategia economica della ditta che nei casi di appalti fuori sede si avvarrebbe non di personale interno, più oneroso in quanto si andrebbero a sostenere i costi di trasferta vitto e alloggio, ma di personale sempre qualificato ma presente il loco, operazione molto più vantaggiosa e che non implica continuità contrattuale. Affermazioni queste in contrasto con le risultanze investigative, che segnalarono inoltre anche la stipulazione di svariati contratti per la fornitura di materiale e di nolo a freddo con ditte riconducibili agli indagati.
Gli accertamenti hanno dimostrato che in realtà i “noli a freddo”, invece, erano veri e propri “noli a caldo” e che ciò nascondeva, di fatto, un subappalto non autorizzato dell’esecuzione delle opere di costruzione della rete di distribuzione del gas nel territorio del Comune di San Luca, realizzando così una gestione diretta della cosca Mammoliti di una grossa fetta dell’opera.
Un esame meticoloso che si è concluso con la richiesta da parte del Pm di chiamare al banco dei testimoni anche l’ex sindaco di San Luca Sebastiano Giorgi e il capo dell’ufficio tecnico.
L’udienza è stata aggiornata al 5 dicembre