Il primo “viaggio della speranza” che si consumò nell’altrimenti detto “mare nostrum”, miseramente finito fra le braccia della morte, passò alla Storia come “La strage di Lampedusa”, un evento, quello, che segnò una svolta nella netta percezione sul dramma dei migranti lungo la rotta per l’Europa: era il 2 ottobre del 2013 allorquando un peschereccio libico, salpato dal porto di Misurata colmo di rifugiati eritrei, prende fuoco a poche miglia dalla costa di Lampedusa, contando a bordo dell’imbarcazione oltre cinquecento persone: le vittime sono 368, più del triplo rispetto a quanti ce ne furono un anno fa in Calabria.
di Antonio Baldari
CUTRO – È mezzogiorno in punto ed il Sommo Pontefice, papa Francesco, è affacciato alla finestra per il canonico Angelus domenicale: dopo la spiegazione alla liturgia del giorno ecco che la voce del Santo Padre argentino è quasi commossa nell’annunciare “urbi et orbi”, alla città ed al mondo, quello che fu l’ennesimo, tragico, sbarco che era avvenuto poche ore prima sulle coste joniche della Calabria, ed esattamente nel Crotonese, a Steccato di Cutro.
Stupore misto a grande amarezza vanno via via pervadendo gli animi per quell’affermazione di papa Francesco; era giustappunto un anno fa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, un carico partito dalla Turchia naufraga davanti alle coste calabresi: a bordo ci sono 180 migranti di cui poco più della metà muoiono in mare e, a tutt’oggi, di 20 di loro non se ne è saputo nulla, inghiottiti dal mare ma chissà dove.
La tragedia costituisce una vera e propria scudisciata per l’Italia sollevando numerose polemiche relativamente ai soccorsi; pochi giorni dopo il Governo guidato da Giorgia Meloni vara una serie di nuove norme con una stretta per gli scafisti, ad onor del vero assai tardiva in considerazione del fatto che non è la prima volta che l’Italia si trova a fare i conti con un naufragio così tragico, ce ne sono stati alcuni con un numero di vittime anche più alto di Cutro.
A tutt’oggi, complessivamente e per l’intero arco degli ultimi dieci anni, sono stati quasi 30mila i morti nel Mediterraneo con il primo “viaggio della speranza”, miseramente finito fra le braccia della morte, che si consumò nell’altrimenti detto “mare nostrum” passando alla Storia come “La strage di Lampedusa”, un evento, quello, che segna una svolta nella netta percezione sul dramma dei migranti lungo la rotta per l’Europa.
Era il 2 ottobre del 2013 allorquando un peschereccio libico, salpato dal porto di Misurata colmo di rifugiati eritrei, prende fuoco a poche miglia dalla costa di Lampedusa, contando a bordo dell’imbarcazione oltre cinquecento persone: le vittime sono 368, più del triplo rispetto a Cutro, mentre 155 sono coloro che riescono a salvarsi destando il governo centrale romano in carica in quel che vedeca Enrico Letta quale primo ministro mentre il delegato ministeriale all’Interno era Annamaria Cancellieri.
Un altro anno particolarmente drammatico fu il 2016 quando al governo c’è Matteo Renzi premier in carica nel mentre al Viminale sedeva Angelino Alfano; un anno che fece registrare il numero più alto di morti in mare con oltre cinquemila vittime in tutto il Mediterraneo, contandone, in Italia, il 26 maggio ben 215 tra morti e dispersi, in un naufragio nel Canale di Sicilia, e il 2 novembre davanti a Lampedusa si registrano ancora 128 morti.
Nel luglio del 2014 sono 109 le vittime nel canale di Sicilia mentre nove anni orsono, più o meno come oggi, e più precisamente l’11 febbraio 2015, 100 sono quelle registrate a Lampedusa; insomma il Mediterraneo è un vero e proprio “cimitero” all’interno del quale sono sepolte, annullate, per sempre cancellate, circa 30mila vittime. Tante, troppe, per ognuna di esse che partita verso mondi nuovi, per una nuova vita e che è andata invece incontro al più ferale dei destini: la morte.